10 Novembre 2021

I leader dei National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti hanno pubblicato un articolo in cui evidenziano che l’uso di un linguaggio appropriato per descrivere la malattia mentale è cruciale per erodere i pregiudizi e migliorare la qualità della vita di chi vive un disagio mentale.

Il linguaggio verbale ha un ruolo centrale nel plasmare i pensieri e le credenze che si installano nel nostro subconscio.
Il biologo molecolare Bruce H. Lipton, nel suo libro La biologia delle credenze, affronta proprio questo tema, sottolineando quanto “ciò in cui crediamo determina ciò che siamo”. Questo è vero soprattutto quando parliamo di salute mentale.
C’è la tendenza diffusa a considerare ciò che riguarda la mente come qualcosa di impalpabile, indefinito, e sotto il nostro pieno controllo. Si dimentica, tuttavia, che il cervello è un organo, e in quanto tale, esattamente come gli altri organi del corpo umano, può ammalarsi e deve essere curato

Tra i disturbi psichiatrici che risentono maggiormente il peso del pregiudizio c’è il disturbo da uso di sostanze (Dus). Nonostante la ricerca nel campo della genetica e della neurobiologia abbia compiuto grandi passi avanti nell’individuare le basi biologiche della dipendenza, lo stigma, secondo il quale questi disturbi siano causati da una “devianza” o da un “cattivo carattere”, persiste. 
Ma qual è il ruolo del linguaggio in questo contesto? 

Uno studio pioneristico condotto all’università di Harvard nel 2009 ha affrontato proprio questo tema.
Lo scopo della ricerca era comprendere se le parole che si scelgono per definire le persone con Dus possono influenzare i professionisti della salute mentale nella propensione a favorire un trattamento medico o una pena detentiva. Dai risultati è emerso che quando un individuo era descritto come un “drogato”, i professionisti del settore erano più propensi a favorire una pena detentiva rispetto a quando i soggetti venivano descritti come aventi un “disturbo da uso di sostanze”. Ciò conferma che anche tra gli operatori della salute mentale, l’uso delle due espressioni può evocare pensieri e giudizi differenti.

I direttori di tre dei NIH degli Stati Uniti – Nora D. Volkow del National Institute of Drug Abuse, George F. Koob del National Institute of Alcohol and Alcoholism, e Joshua A. Gordon del National Institute of Mental Health –, in un recente articolo pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology, affermano che l’uso di un linguaggio incentrato sulla persona applicato nel contesto quotidiano, nei media, e nella letteratura scientifica, sia cruciale per erodere i pregiudizi e restituire la giusta considerazione a chi è affetto da disturbi mentali. 

Ciò si traduce nel fatto di evitare termini che implicano un giudizio o un valore negativo. Ad esempio, l’uso di termini stigmatizzanti come “alcolizzato” o “drogato”, oltre a creare un’erronea identificazione della persona con il disturbo, implica un giudizio che rafforza l’idea che la dipendenza sia frutto della volontà della persona, e non una vera e propria condizione psichiatrica causata da alterazioni cerebrali. Inoltre, l’espressione “abuso di sostanze” – rimossa dal DSM-5 nel 2013 – denota una colpa; è opportuno dunque sostituirla con: “uso di sostanze”, più appropriato per definire una condizione medica. Allo stesso modo, quando si parla di suicidio, gli autori sconsigliano l’uso delle seguenti espressioni: “commettere suicidio”, “tentativo riuscito” o “tentativo fallito” perché denotano una colpevolezza. 

È opportuno, invece, dire “sopravvissuto a un tentativo di suicidio”, esattamente come ci si rivolgerebbe a un paziente sopravvissuto a un cancro. 
Lo stigma è difficile da eradicare; modificare il linguaggio verbale è il primo passo per apportare una differenza significativa nella vita delle persone affette da un disagio mentale.

“Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.”
Jacques Lacan                                                                                                        

Francesca, https://www.instagram.com/stephen_rhall/
Progetto Attivismo Digitale