18 Gennaio 2022

A volte le cose succedono e basta, così per caso ti ritrovi una famiglia disfunzionale, così per caso cresci apprendendo schemi sbagliati e sempre per caso pensi che la tua piccola bolla rappresenti il mondo intero.

Come definirlo un trauma? Non intendo quei traumi grossi, che improvvisamente stravolgono la vita, vorrei spiegare il funzionamento di una quotidianità traumatica, in cui i momenti di serenità rappresentano le eccezioni.

Ho sempre sognato di vivere in una bella casa, grande, un rifugio accogliente. Ancora oggi guardo le immagini delle case addobbate per natale con il camino acceso, il calore, e mi immagino come sarebbe viverci, come mi sentirei, cosa farei, e cambio sempre risposta a seconda del mio umore.

Eppure la realtà ha sempre disilluso le mie aspettative: me la ricordo la prima casa in cui ho vissuto, ma soprattutto ricordo le mie preghiere, grazie alle quali speravo con tutto il cuore che i miei terribili pensieri non si avverassero, ricordo anche le liti impressionanti, le urla, le stanze messe sottosopra, i carabinieri che arrivavano, i Tso a famigliari scampati per un soffio. Ricordo anche il bene che cercava di proteggermi, come poteva, perché il male l’aveva sempre vinta.

Può prendere molte forme: “gli psicofarmaci ti drogano, puoi risolvere senza, butti soldi in psicoterapia, è tutto un business…”.
L’elenco potrebbe continuare, come le scuse per non riconoscere dignità a patologie invisibili. È facile dire frasi come “smettila con questi farmaci”, più difficile è dialogare con una persona, provare a riconoscere lo sforzo e la fatica. Perché no, non è tutto un capriccio per sentirsi “euforici”, anzi, infiniti sono stati i periodi di tentata accettazione per liberarmi dai miti e dalle false credenze legati a questi argomenti.

Mi ricordo anche quando tanti anni dopo mi sono trasferita nuovamente, iniziano sintomi solo apparentemente nuovi, le ore giornaliere passate a ripetere frasi a macchinetta per liberarmi di un pensiero che creava disordine, una quarantena divisa fra due case, perché nella mia faceva troppo freddo d’inverno, arrivando così a costruirmi una gabbia dorata, e allora si cominciano a inventare bugie e sotterfugi, scuse improbabili, solo per poter conquistare una piccola nicchia di libertà.

Ricordo le relazioni disfunzionali che hanno sempre dominato, persone che non si parlano a vicenda, tradimenti, bugie, discussioni destinate a fallire con madri che non oserebbero mai mettersi in discussione, sentirsi incompresi da padri che solo sforzandosi avrebbero l’intelligenza per capire, ma sono “troppo impressionabili” dal mondo interiore dei figli per poterlo anche solo sfiorare.

Il senso di paura domina tutto, perché una bomba può scoppiare in ogni momento. Fingere di stare bene è la normalità, per non sentire addosso la paura dei genitori che avrebbero chiesto terrorizzati “oddio, ma perché sei triste?”, arrivando ad avere paura delle emozioni, così imprevedibili e incontrollabili, io che vorrei controllare tutto, che è anche un’ottima strategia per sentirle amplificate poi, per fare le cose per bene!

Però il fine di questo articolo è quello di spiegare quanto le situazioni nella vita non sono mai in classifica, piuttosto corrono in linee parallele: non ho mai subito violenza fisica, non sono cresciuta con tossicodipendenti o alcolisti, però a volte le cose possono essere talmente piccole, sottili e quotidiane che creano effetti simili, senza essere così evidenti.

Concluderei con le poche ma preziose cose che sto lentamente (dis)imparando: è possibile sentire tutte le emozioni e va bene così, non c’è bisogno di avere paura, anzi, forse sono proprio loro a indicarci le strade giuste e sbagliate; e possiamo anche arrivare da un brutto passato ma non per questo siamo destinati ad un brutto futuro. Ne ho anche la prova di ciò: sono sempre stata convinta di essere destinata a una vita triste e misera, in cui non sarebbe mai successo nulla di bello, troppe volte non volevo andare a dormire la sera perché sapevo che il dolore avrebbe taciuto per un po’, ma anche che si sarebbe svegliato il giorno dopo puntale… Fino a quando qualche tempo fa per la prima volta mi è capitato di non voler andare a dormire, ma per la ragione opposta: ero troppo entusiasta, e sempre per la prima volta ho provato qualcosa di diverso dal disgusto, per la vita.
Però una famiglia traumatica ti resta dentro, nella sensibilità che fa sentire tutto il doppio, che bello quando è in positivo… Meno quando arriva l’altra faccia della medaglia! Ma rende anche consapevoli di una cosa fondamentale: non esiste la legge del merito, per cui dopo tanto male ci meritiamo una vita fantastica rispetto a chi ha vissuto nel paese dei balocchi, però vuoi mettere la soddisfazione di essere  sopravvissuti al peggio? Che poi cos’è se non una palestra, dove rielaborando il tutto, troviamo la sicurezza che, qualunque cosa accada, noi saremo sempre un po’ più forti?

Articolo realizzato da Sara 
per il progetto “Attivismo Digitale