Non ricordo un momento nella mia vita in cui non abbia combattuto contro qualcosa, c’è sempre stato un nemico a tormentarmi: che fosse la mia mente che detestavo così tanto, il mio corpo ammalatosi a tradimento, l’ignoranza delle persone che puntano il dito senza ascoltare, una famiglia che si mette d’impegno per farsi disprezzare, le relazioni che appaiono come una minaccia, rappresentando un territorio inesplorato.
Quando si passa una vita a combattere qualcosa di più o meno reale si arriva inevitabilmente a fare un errore di giudizio: credere che quella sia la normalità, come se fossimo dei piccoli soldatini che per meritarsi il proprio posto nel mondo devono digrignare i denti e stare all’erta, con le difese alzate, pronti al prossimo attacco. Solo recentemente ho scoperto una cosa per me contro intuitiva: deporre le armi, non combattere contro me stessa e gli altri.
Deporre le armi per non entrare in conversazioni sterili e infruttuose, deporre le armi perché non ogni offesa dovuta alle mancate conoscenze altrui merita una reazione, deporre le armi perché si può anche imparare a vivere con le persone e non solo contro loro, forse non c’è nulla di così pericoloso negli altri nonostante debba passo dopo passo educare la mia mente a capirlo.
Deporre le armi perché sono sempre io, nella mia interezza, la persona contro la quale ho combattuto, ma non ci sono parti di me da odiare o disprezzare, solo da ridimensionare e ringraziare. Si, forse è bene anche auto celebrarsi a volte: perché sarà vero che la vita è fatta di salite e discese, ma ci sono anche valli e distese nelle quali è bene riposarsi e ammirare tutto ciò che è andato distrutto e con tanta fatica ricostruito.
Forse guardandosi bene attorno è possibile accorgersi di quanto le fatiche abbiano portato a piccole meraviglie; una vita spesa a mettere filtri su filtri nel tentativo di camuffarsi per poi scoprire che si sta così tanto meglio spezzati e ricomposti ma anche valorizzati dalle imperfezioni, tanto difficili da accettare, ma altro non sono che l’essenza della propria umanità. Depongo le armi quando la maggior parte delle persone non le ha mai nemmeno intraviste, la calma esteriore ha sempre camuffato molto bene i grovigli che mi portavo dentro. Ma anche se sono scompigliata non sono debole, semplicemente umana.
Esistono tanti luoghi comuni che vogliono erigersi a comandamenti universali, e forse uno dei più sbagliati è che bisogna essere sempre sul pezzo, pretendere da se stessi il massimo della performance e puntare alla vetta: però in questo perfezionismo, di cui sono sempre stata sostenitrice e allo stesso tempo vittima inconsapevole, si rischia di tralasciare un aspetto non da poco, che metto nero su bianco, così magari oltre a non scordarmelo più, qualcuno si ritrova. Allora me lo posso dire: “Complimenti per essere arrivata fino a qui nonostante la paura, la stanchezza e i mancati sostegni. Complimenti per averci provato quando nemmeno ci credevi, pensando di fallire miseramente.”
Ma in fondo non esiste il fallimento perché se smetto per un momento di osservare la strada ancora da fare, e mi volto, non trovo altro che un territorio arido. La debole vegetazione che ho attorno non posso permettermi di darla per scontata, e allora forse se mi adagio per un momento sul prato e mi riposo non accadrà nulla di terribile; ho passato troppo tempo in guerre faticose e incessanti per comprendere fino in fondo che non c’è niente di sbagliato in questo, ma esiste un futuro andando oltre le distruzioni passate, ci vuole solo il coraggio per esplorarlo.
Articolo realizzato da Sara
Disegno di Martina
per il progetto “Attivismo Digitale“