Qualche settimana fa, mi sono ritrovata a visitare il profilo di un ragazzo di nome Luca. Ero sorpresa, emozionata e toccata a livello personale per via di alcune somiglianze molto forti tra me e lui.
Leggo che dopo aver condotto la vita monotona e vuota del lockdown, sente la necessità di rivoluzionare la sua vita e così a Maggio 2021 parte con la sua bici per girare 377 comuni sardi da solo. Mi domando: “ci siamo mai chiesti onestamente cosa ha significato per l’essere umano il lockdown?”.
Mi ha colpito che Luca parla di aver vissuto “due mesi in un tavolino”, questa espressione mi è rimasta impressa perché penso sia una rappresentazione totalmente contro natura dell’uomo.
Ora però facciamo un passo indietro.
Quattro anni fa mi sono laureata in Scienze dell’Educazione con una tesi dal titolo “Outdoor Education”: mi ero totalmente innamorata dell’educazione in natura, finalmente avevo trovato un esame che davvero mi parlava, nel quale potevo ritrovare i miei valori, i miei ideali. Così passai il tempo a scrivere felice di poter dimostrare l’importanza di vivere a contatto con la natura, che è il più grande strumento d’apprendimento che abbiamo e dovremmo tutti rendercene conto.
Abbiamo invece barattato la felicità per la sicurezza, come dice Freud; abbiamo perso la voglia di faticare e di scoprire, toccare, odorare, e l’abbiamo fatta perdere anche all’infanzia.
Ed ecco che arriva Luca, un esempio vivente di Pedagogia del rischio: ha voglia di sporcarsi le mani, cadere, vivere.
Nel bel mezzo di una profonda crisi che sto attraversando, questo ragazzo illumina la mia mente, mi emoziona, tocca le mie corde.
Parliamo un po’ della sua storia, mi dice che ha sentito il bisogno di andare in terapia e mi racconta un piccolo episodio.
Una volta la psicologa gli domandò: “Luca, da quando non fai qualcosa che ti rende felice?”. Lui si emoziona, piange, e da lì nasce tutto.
Amarci, curarci e credere in noi: ne sentiamo sempre parlare, ma sapremmo davvero farlo?
Sono qui a raccontare la storia di Luca perché stiamo completamente dimenticando che per amarci abbiamo bisogno di mettere la nostra salute mentale al primo posto, trovando il coraggio di lasciare la paura del giudizio; infatti per essere sereni, spesso sceglieremo strade che non tutti capiranno e supporteranno ma il segreto sta proprio nell’andare oltre questo limite.
Luca è un esempio perché siamo immersi in una società di giovani smarriti, che non sanno fare i conti con le emozioni, che non sanno come parlarsi e di conseguenza come chiedere aiuto e tutto questo non fa che contribuire alla chiusura che vediamo ovunque: come si dice, niente è peggio di una mente chiusa.
La bicicletta di Luca rappresenta una rinascita che per ognuno di noi è diversa, unica: parliamo con la nostra anima e chiediamole cosa davvero può renderla felice.
Articolo realizzato da fiore_daparete
per il progetto “Attivismo Digitale“