Le situazioni e gli eventi stressanti inducono nell’organismo la secrezione di un ormone, il cortisolo, spesso chiamato dai non addetti ai lavori “ormone dello stress”.
Questa sostanza è fondamentale, perché comunica al nostro cervello che è necessario mantenere uno stato di allerta e vigilanza.
In altre parole, quando accade qualcosa che percepiamo inaspettato e di difficile gestione, si realizzano dei cambiamenti negli stati emotivi e cognitivi. Accade, ad esempio, che la concentrazione e l’apprendimento vengano rivolte unicamente ai fattori stressanti, tralasciando ogni altro stimolo.
La gravidanza, una fase che nella vita della donna induce enormi cambiamenti fisiologici a cui si associano scelte di vita personali e familiari di importante impatto sulla Salute Mentale, porta con sé un carico che grava inevitabilmente sul sistema dello stress.
Il corpo che accoglie un’altra forma di vita, fornendo nutrimento e protezione, è soggetto a grandi cambiamenti dell’ambiente ormonale che talvolta comportano perturbazioni dell’umore.
La narrazione che a seguito della nascita di un figlio si stia entrando in una terra di beatitudine, che si nutre esclusivamente di coccole e ninne nanne è sì realistica, ma non può rappresentare l’unica tesi accettata, diventando un motivo di inadeguatezza per coloro che sperimentano, specie nei primi giorni del peripartum (ossia “intorno al parto”), sintomi ansioso-depressivi.
Secondo alcuni studi, una percentuale molto variabile che va dal 10 al 75% delle gravide riferisce di aver sperimentato nella prima settimana dopo il parto sensazioni di labilità emotiva, difficoltà ad addormentarsi, inclinazione al pianto, ansia, irritabilità e perdita di appetito, le quali hanno per un breve periodo impattato negativamente sulla vita quotidiana e sull’accudimento del neonato.
Questi sintomi non costituiscono un disturbo psichiatrico di per sé, piuttosto un episodico distress psicologico chiamato maternity blues o baby blues.
Gli ormoni sessuali vengono prodotti in diverse quantità dalle ovaie e dai testicoli, influenzando così in maniera differente le quattro emozioni di comando che regolano vita emotiva delle persone: quella appetitiva (desiderio e piacere), la rabbia, l’ansia e il panico con angoscia di separazione.
Dopo la pubertà, gli ormoni maschili hanno un effetto più marcato sulle prime due; difatti, i disturbi da iperaggressività e ipersessualità risultano più frequenti negli uomini. Gli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili, hanno invece un’influenza maggiore sulle altre: la vulnerabilità all’ansia-paura e i disturbi legati al panico e all’angoscia di separazione sono, infatti, due volte più elevati nelle donne.
Le grandi oscillazioni sul profilo ormonale che si manifestano con rapidità nei giorni successivi al parto possono, dunque, avere un ruolo rilevante nei turbamenti così inaspettati e confondenti che alcune donne sperimentano.
Il maternity blues, che nella maggior parte dei casi è una condizione autolimitante, può tuttavia essere il preludio per una vera e propria depressione post partum.
La maternità rappresenta una vera transizione di identità, non solo un cambiamento fisiologico: le donne vivono una radicale trasformazione delle proprie abitudini, tra cui il lavoro, le relazioni, il sonno e la nutrizione. Per questi motivi, il leitmotiv che la gravidanza sia un momento che le donne affrontano inevitabilmente con gioia e agiatezza è dissonante rispetto alla complessità dell’evento.
Le donne affette da depressione post partum manifestano spesso una comune caratteristica, la counterdependency, ossia la negazione del bisogno personale e della necessità di aiuto.
Il periodo dell’età infantile corrisponde ad un bisogno di accudimento che si traduce nel bambino in un desiderio di cura da cui scaturisce piacere. In altre parole, quando siamo piccoli, ricevere l’affetto e le premure dei genitori è motivo di gioia oltre che una necessità imprescindibile.
Quando cresciamo, questo atteggiamento cambia rapidamente, diventando addirittura motivo di conflitto; il bisogno di cura dall’adolescenza in poi viene vissuto con imbarazzo e considerato sinonimo di immaturità.
Ricevere accudimento, per un adolescente/adulto che desidera indipendenza, è quasi sgradevole. Da questo, talvolta, deriva il concetto di counterdependency,un comportamento maladattativo che si riferisce alla necessità della persona di dimostrare, rispetto alle difficoltà, indipendenza e capacità di autogestione senza aiuto alcuno.
Questo tipo di adattamento “controdipendente” funziona per molte persone, ma se il numero delle cose di cui prendersi cura diventa troppo gravoso e se i propri bisogni insoddisfatti diventano troppo ingombranti, il sistema controdipendente crolla.
Questo è il caso di molte donne che sviluppano la depressione post partum: un marito, una casa, un lavoro e un figlio possono essere gestibili, ma un figlio in più potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Le donne che hanno bisogno di dimostrare di essere in grado di gestire tutto, senza assistenza, possono essere particolarmente vulnerabili e richiedere un’attenzione speciale dal punto di vista della Salute Mentale.
I miti sulla genitorialità posso creare aspettative irrealistiche, che possono portare genitori in difficoltà a provare veri e propri sentimenti di fallimento.
Alla luce di ciò, la depressione post partum non è solo femmina, ma sempre più spesso affligge i neopapà che, sia dal punto di vista scientifico che sociale, vengono spesso dimenticati. Non è infrequente che alcuni uomini manifestino difficoltà ad accedere al proprio mondo emotivo (scarsa alfabetizzazione emotiva) e, pertanto, per un neopapà accogliere e validare le proprie emozioni scatenate dall’arrivo del bambino può essere più complicato. Questo potrebbe impedire che i casi di depressione post partum paterna vengano sottoposti all’attenzione clinica.
Molti genitori muovono spesso la critica di non essere stati avvertiti dai clinici rispetto all’eventualità di poter sperimentare questo tipo di turbamenti emotivi alla nascita di un figlio.
Il solo conoscere il fenomeno potrebbe essere un modo di validare le proprie emozioni e poterle affrontare con maggiore apertura. Sempre più donne sentono il bisogno di rendere pubbliche le proprie esperienze rispetto al maternity blues, spinte dalla volontà di rendere altre madri partecipi del fatto che questi sintomi sono comuni e spesso autolimitanti.
È importante porsi in maniera critica rispetto all’immaginario della madre perfetta, tutto-fare e invincibile, che molto ha a che fare con la controdipendenza di cui prima accennavamo, per fornire alle donne sempre nuovi strumenti e punti di vista per vivere al meglio questo complesso viaggio verso la maternità.
Articolo realizzato da Emiliana
per il progetto “Attivismo Digitale“