Pagine e pagine, straboccanti di parole. Fogli inizialmente bianchi,
all’interno di blocchi ordinati, e fogli volanti, già scritti e riscritti.
Fogli Word, in PC sotto password, e note sull’iPhone: app come diari.
Pagine innumerevoli, da perderci il conto non appena iniziato: sono
quelle che ho ricoperto di inchiostro nero, colorato da gocce di
sangue, sbavato da lacrime come acqua di mare.
Sono quelle che ho riempito di caratteri standard, quando lo standard da me fissato era impossibile da raggiungere, eppure mai abbastanza alto.
Parole che urlavano, anche se non osavo pronunciarle. Parole di
rabbia, distruzione, giudizio, angoscia, depressione.
Parole di cui prendersi cura, che invece rigettavo, nero su bianco,
distaccandomene completamente.
Parole di cui si è presa cura, prima che riuscissi a farlo io, la mia
terapeuta, che ne ha lette e ascoltate molte, e che con altrettante ha
supportato il mio percorso di guarigione.
Ora, le parole scritte sulle pagine sono meno, hanno lasciato spazio a
quelle condivise, a quelle che hanno preso voce, insieme ai miei
bisogni e ai miei desideri, pieni di vita.
Articolo realizzato da Eleonora,
per il progetto “Attivismo Digitale“