Mi chiamo Aria.
Ricordo il preciso momento in cui i miei pensieri sono diventati qualcosa di diverso ed esterno a me stessa. Ricordo il momento in cui non mi sono sentita più sola, ma in compagnia di qualcuno che da lì in poi difficilmente mi avrebbe abbandonata.
Avevo circa cinque o sei anni e mi trovavo nella cucina della casa dei miei nonni, un luogo di estrema gioia e sicurezza per me, la mia casa. Mi cadde un pezzetto di pane, se non sbaglio, una piccola mollica che, molto serenamente, decisi di raccogliere e mangiare; è così che si scatenò l’inferno, è così che cambiò la mia vita, quando io neanche ero in grado di capire cosa fosse la vita.
Ovviamente non riuscii a dare un nome a ciò che mi stava accadendo e dall’esterno poteva tutto sembrare collegato a una causa fisica. Da lì a poco passarono anni, io crescevo e con me i miei pensieri paralizzanti, terrificanti e inspiegabili. Io non c’ero più, ormai la mia dimensione era quella che creavano i miei pensieri, diventati ormai realtà: per me non esisteva un’alternativa, non esisteva un altro mondo, mi chiedevo piuttosto come facessero gli altri a vivere in un mondo diverso dal mio, e me lo sono chiesto per anni.
“Cosa c’era che non andava? Era forse il mio carattere? Come potevo vivere così?”
Erano queste le domande che iniziarono ad affollare la mia testa, quando mi accorsi che i miei pensieri mi impedivano di vivere, d’essere felice, di progettare, perché l’unica cosa che pensavo di dover fare, era pensare. Mi convinsi poi che quello era effettivamente il mio carattere, la mia persona; una ragazzina sensibile, molto paurosa e timida.
Gli altri però furono meno gentili, e presero sempre quelle mie caratteristiche come un difetto, una falla, qualcosa da prendere di mira. Io stessa non sapevo vedere oltre, e passai così la mia infanzia e la mia adolescenza a tormentarmi senza mai arrivare a una conclusione.
A 15 anni, ebbi la mia seconda crisi, dopo quella del pezzetto di pane, e mi persi totalmente: conobbi ancora una volta il terrore, la solitudine, l’inferno e la disperazione di chi non capisce cosa c’è che non va.
Da quel periodo ottenni l’etichetta di “ipocondriaca” che mi accompagnò per tanti anni, sino alla svolta: la psicoterapia, precisamente cinque anni. Quell’enorme groviglio di pensieri e punti di domanda prese un nome: Disturbo Ossessivo Compulsivo, e quel pezzetto di pane, ora possiamo chiamarlo esordio di doc da contaminazione.
Per quasi tutta la vita ho vissuto nelle mie ossessioni, in una totale immersione tra pensiero e azione, dove io non avevo la minima idea di cosa fosse un pensiero normale, e di conseguenza la vita. A Febbraio è arrivata la mia svolta: una seconda psicoterapia, un percorso psichiatrico e, finalmente, la terapia farmacologica giusta.
Il doc mi ha privato da sempre della vita, offrendomene una falsamente rassicurante, credibile e tanto difficile da abbandonare: pensate di nascere in un’isola completamente deserta e, dopo 26 anni, scoprire il mondo reale, gli esseri umani, la vita (no, non esagero).
Il doc mi ha nascosto a me stessa, ha tolto voce alla mia voce, coprendola con la sua in tutti i modi possibili e immaginabili, si è insinuato ovunque, e proprio quando pensavo di conoscerlo meglio mi ha dato l’ennesima pugnalata alle spalle, togliendomi tanto. Mi ha convinto di essere un’altra persona, spesso è riuscito a cancellare i miei ideali, le mie idee, sostituendoli con ciò che mai mi è appartenuto. Insomma, mi ha fatto tanto male.
Ho capito però, che il trucco non è tanto conoscerlo, quanto sentirlo: investire sulla nostra persona è il più grande regalo che possiamo farci; accoglierci, conoscerci, essere clementi con noi stessi, perché guarire non significa l’assenza del doc, ma il modo in cui riusciamo a conviverci, mettendolo al suo posto. Sono cresciuta fondendomi con il mio disturbo perché era l’unica modalità di stare al mondo che conoscevo; non l’ho mai percepito come malattia. Poi sì, ho imparato a farlo per imparare a gestirlo e a dargli un limite, mettendo soprattutto un confine tra me e lui: poi sono andata oltre l’idea della malattia e ho trovato me.
Scritto da fiore_daparete
per il progetto Attivismo digitale