Qualcosa non va in me. Mi sento “socialmente disfunzionale” nel lavoro e nello studio; sono meno performante, mi sento triste, vuota, arrabbiata con me stessa. Scarico la mia frustrazione su chi mi ama. Non sono in grado di controllare le mie emozioni. Mi fisso sui pensieri che diventano la mia ossessione; rimugino, rumino, dormo poco o troppo. Mi sento stanca e spaventata.
Che sia scaturito da un fattore ambientale o da uno squilibrio endogeno questo malessere quando arriva mi stravolge la vita. Ignorarlo non è possibile, ma affrontarlo e portarlo a galla ci può aiutare. Il primo passo può essere quello di aprirci con le persone a noi vicine, ma consapevoli del fatto che potrebbero non comprenderci, facendoci sentire, senza volerlo, ancora più inadeguati, incapaci e colpevoli.
Ho conosciuto questo mondo con mia madre, che non accettava un aiuto di cui aveva estremo bisogno. Inizialmente arrabbiata, poi spaventata dalla malattia “invisibile” e infine chiusa in un senso di solitudine e abbandono, mentre i deboli approcci andavano via via fallendo. Mia madre oggi non c’è più e io sono entrata nuovamente nel mondo della malattia mentale. Questa volta da paziente.
Ritengo che il percorso per ritrovare una stabilità psichica debba aderire in modo perfetto alla nostra persona altrimenti potremmo incorrere nel rischio di non sentirci aiutati e di lasciare la terapia senza aver risolto nulla, avendo perso tempo e denaro.
Dopo la morte di mia madre ho subito un forte crollo che mi ha fatto toccare il fondo. Prima di trovare il percorso di cura adatto a me ho fatto vari tentativi. Inizialmente ho scelto di affidarmi ad un counselor. È una figura professionale che si occupa delle relazioni d’aiuto e mira ad intraprendere un percorso di autoconsapevolezza favorendo l’autostima.
Non può fare diagnosi e percorsi psicoterapici.
Con il passare delle settimane ho compreso che qualcosa non andava. Non riconoscevo un’adesione tra me e il percorso e il mio malessere andava peggiorando.
Mi sono messa così a valutare tutte le varie figure professionali che avevo avuto modo di incontrare con la malattia di mia madre per trovare quella che potesse darmi l’aiuto di cui avevo bisogno.
Lo psichiatra è un medico, il solo che può prescrivere e consigliare farmaci. A fronte di patologie diagnosticate, la terapia farmacologica, affiancata a quella psicologica, diviene molto importante.
Lo psicologo clinico è uno psicologo che ha alle spalle un percorso formativo di cinque anni. Può intraprendere percorsi individuali, di coppia o di gruppo, percorsi orientati al sostegno, alla riabilitazione e a un’eventuale diagnosi. La psicologia clinica non è curativa. Lo psicologo psicoterapeuta è invece una figura professionale che si occupa di situazioni di sofferenza psicologica significativa in cui sia presente una sintomatologia clinica debilitante.
Ogni psicoterapeuta ha un percorso di studi di ulteriori quattro anni che plasma il suo modello clinico che può essere psicoanalitico, cognitivo-comportamentale o sistematico relazionale. Questi orientamenti hanno diverse concezioni sulla mente e sulla psicopatologia e determinano quindi l’approccio psicoterapico.
Ero confusa sulla strada da intraprendere. Non sapevo quale fosse il mio problema, ma era palese che lo dovevo affrontare perché la mia vita stava andando in pezzi in un copia e incolla di quella di mia madre. Decisi di affidarmi al medico di medicina generale. Spiegai la situazione e mi indirizzò al Centro di salute mentale del territorio. Lì fui presa in carico da uno psichiatra che dopo un paio di mesi mi espose la diagnosi: disturbo bipolare di tipo II. Da lì a poco iniziai un percorso di psicoterapia di orientamento cognitivo-comportamentale in quanto lo psichiatra riteneva quest’approccio il più idoneo per la mia patologia. Sono quasi tre anni che frequento regolarmente il CSM. Ci sono alti e bassi nel mio stato di salute, ma tra i farmaci e la psicoterapia riesco a vivere una vita piena. Il CSM è per me un porto sicuro. Sia io che i miei familiari sappiamo che se ci sono delle difficoltà lì troviamo sempre qualcuno pronto a tendere la mano. Io vivo in Veneto e forse in altre regioni italiane il servizio sanitario pubblico non è così efficiente. Anche qui ci sono tuttavia delle lacune come il problema della forte richiesta di accesso ai servizi a fronte di una carenza di personale. In ogni caso le strutture le fanno le persone e quando mi ritrovai a chiedere aiuto per mia madre non trovai la mano tesa di cui avrei avuto tanto bisogno.
In questi ultimi anni si è sentito molto parlare dello “psicologo di base” , una figura che coopera con i Medici di Medicina Generale per garantire un sistema di prevenzione, prima accoglienza e orientamento su un eventuale percorso da intraprendere.
Credo fortemente che la diffusione a livello nazionale di questa forma di assistenza primaria per la salute mentale sarebbe una valida soluzione per limitare quella paura e quello smarrimento che si prova quando ci si imbatte in questi problemi. Senza dubbio è anche un modo per prevenire le patologie fornendo strumenti per la gestione dello stress o del dolore dati da fattori esterni (lutto, perdita del lavoro, fine di una relazione, genitorialità…)
La mia esperienza e il percorso di studi in psicologia che sto affrontando, mi hanno portata a maturare una personale riflessione su quale sia la modalità migliore per trovare una strada giusta qualora ci si scontri con un disagio mentale. Spesso ci si rivolge ai professionisti basandosi su recensioni on-line o sul passaparola di amici e parenti, ma credo che questo possa essere un azzardo. Ritengo che in mancanza di un servizio sanitario pubblico efficiente la soluzione migliore sia quella di affidarsi ad uno psicologo clinico, una figura diciamo “laica” molto simile a quella dello psicologo di base. Offrendo un percorso di prevenzione, supporto e sostegno può eventualmente arrivare ad una diagnosi. In base a questa diagnosi e alle sue competenze saprà suggerire la tipologia di percorso ed orientamento psicoterapico più adatto alla patologia in essere.
Non tutte le persone che attraversano un periodo difficile hanno una psicopatologia, di conseguenza non tutti hanno bisogno di uno psicoterapeuta. I percorsi all’interno del mondo della salute mentale sono molti. Tutti possono andar bene: nessuno è meno valido, nessuno lo è di più. L’importante è trovare il giusto professionista che sappia riconoscere l’approccio più adatto a noi… l’approccio che ci viene dipinto addosso, l’approccio che ci sta… a pennello!
Articolo di Samantha
per il progetto “Attivismo Digitale“