Dopo l’ennesima notizia di suicidio da parte di un ragazzo schiacciato dal peso delle aspettative, mi sento di dover mettere il punto su due diverse realtà: l’inesistenza del merito e anche la totale inutilità dello stesso. Ma partiamo dall’inesistenza.
Non si può parlare di merito in assenza di una società equa e giusta, in presenza di evidenti svantaggi di nascita.
Nello specifico vorrei riferirmi alla mia personale esperienza negli Stati Uniti, e in particolare nelle grandi Tech. “Gli Stati Uniti la terra della “meritocrazia”, dicono in molt*. “La terra dove il baronato nelle università non esiste.”
Queste frasi superficialmente e apparentemente reali, falliscono un più profondo esame di realtà. Anzi, gli Stati Uniti diventano per me un terreno fertile per parlare di quelli che sono i privilegi e i vantaggi di nascita sia evidenti che sottili. Quelli sottili possono sfuggire, ma non a un’approfondita analisi.
Il privilegio intellettuale infatti, al contrario di quello economico, è sottile e molto insidioso.
Se il privilegio economico (chi insomma viene da una famiglia agiata) è la possibilità di studiare senza pensare a come arrivare a fine mese, finire gli studi con calma senza avere l’ansia della corsa, accesso agli istituti prestigiosi che spesso e volentieri costano, il privilegio intellettuale è meno conosciuto ma non per questo meno impattante.
Ieri un mio collega ha detto “mio padre mi ha spiegato l’ibridazione del carbonio quando avevo sei anni” (scusate il tecnicismo prendetela come una cosa noiosa e nerd). Ha fatto ridere sul momento, ci siamo fatti una grossa risata. Ma io ho pensato: “eccolo, questo ragazzo è un predestinato”.
Fin da quando nasciamo siamo convinti che l’intelligenza (soprattutto quella logico/matematica) sia un dono genetico. Sicuramente ci sono predisposizioni, ma non lo è del tutto, è anche allenamento che va fatto soprattutto nei primi anni di vita. Questo training per alcun* viene eseguito ai massimi livelli fin da quando si è in fasce.
Si comprano i libri giusti, si spiegano le cose giuste, si appendono nelle camere dei figl* i poster delle università giuste. Alcun* bambin* sono destinati all’ivy league, sono figl* d’arte. E quale è il punto? Sono davvero bravi, sono davvero geniali. Sembra merito, ma non lo è.
È il privilegio di essere cresciut* in un ambiente florido che ha permesso di avere tutte le possibilità intellettuali ed esprimere al massimo il proprio potenziale.
Solo per l’esistenza di nuclei familiari così strutturati io parto dal presupposto che il merito non esiste. Tanto vale non usare questa parola? Anche perché qual è l’utilità dell’uso della parola “merito”?
Fondamentalmente l’unica utilità sta nel dividere il mondo in due metà, quelli che “meritano” e quelli che “non meritano”. Se esiste una deve esistere anche l’altra.
Questo costante gioco di opposizione a chi fa bene? Non certo alla massa che graffia e soffre per arrivare. Fa bene al sistema produttivo che sfrutta e spreme con la scusa del merito.
Ci sacrifichiamo, piangiamo, ci distruggiamo e ci corrodiamo in nome di un riconoscimento della società. Se non ti laurei sei stupid*, se non guadagni sei un fallit*.
Sacrifichiamo la nostra Salute Mentale in nome di un ideale tossico e di un modo di vivere che non abbiamo deciso ma che la maggior parte subisce. E chi non lo subisce è, spesso, perché si trova in una posizione di privilegio.
Voglio vivere in una società dove sono libera di essere. E sapete cosa? Voglio vivere in una società dove sono libera di non voler “arrivare”, dove sono libera di essere me stessa. Dove sono io. Voglio poter avere il diritto di fallire.
E basta con questa storia del merito.
Articolo di Elisabetta
per il progetto “Attivismo Digitale“