
La depressione è una bugiarda.
Ti sussurra che non serve alzarsi dal letto, che non ha senso parlare, che nulla cambierà mai. Ti convince che sei un peso, che sei solo, che non vali abbastanza. E più ascolti quella voce, più diventa forte, fino a diventare l’unica che senti.
So cosa significa. So cosa vuol dire credere a quelle menzogne.
Svegliarsi già stanchi, come se la notte non fosse servita a nulla. Guardare i propri figli, le persone amate e non provare nulla. Trascinarsi nelle giornate con il cuore fermo e la mente annebbiata, senza riuscire a immaginare un domani diverso.
La depressione è spietata perché indossa il volto della verità. Ti immobilizza e, allo stesso tempo, ti accusa di non reagire.
Da fuori, spesso, arrivano parole che non aiutano: “tirati su”, “pensa positivo”, “c’è chi sta peggio”. Frasi che non aprono spiragli, ma feriscono. Perché la depressione non è mancanza di volontà: è un peso che tiene ancorati al letto, come se si avesse il cemento dentro.
Nell’ombra più fitta ci sono stati piccoli sforzi che hanno fatto la differenza.
Aprire una finestra e lasciare entrare un raggio di luce. Lavarmi, anche solo il viso, per ricordarmi che ero ancora viva. Bere un bicchiere d’acqua, respirare profondamente, mandare un messaggio a qualcuno. Sembrano niente, ma erano atti di resistenza. Passi minuscoli ma estremamente faticosi, che hanno impedito all’oscurità di divorarmi del tutto.
Non ne sono uscita da sola e nemmeno in un attimo. È stato un percorso fatto di cadute e di risalite, di tentativi e di riprese.
Mi ha salvata una rete:
- La psicoterapia, che mi ha insegnato a dare un nome al dolore e a distinguere i miei pensieri da quelli della malattia.
- I farmaci, che hanno riportato equilibrio quando il mio corpo non riusciva più a ritrovarlo.
- Il canto, che ha risvegliato la mia voce e l’ha trasformata in respiro, forza, energia.
- L’amore della mia famiglia, che mi ha tenuta ancorata alla vita anche nei momenti in cui io non ci credevo più.
- La ripresa degli studi, la passione per le scienze psicologiche, che mi hanno dato strumenti per trasformare la sofferenza in conoscenza, direzione e divulgazione.
La depressione mi ha piegata? Sì.
Mi ha rubato tempo, energia, sogni? Sì.
Ma non mi ha cancellata. Mi ha resa quella che sono oggi: più forte, più coraggiosa, più attenta ai miei desideri e meno ai giudizi degli altri.
Le sue bugie mi avevano convinta che sarei rimasta lì per sempre, che non meritavo di uscirne. Invece no. Oggi so che quella voce era un grande inganno: il frutto di una mente ferita, del mio auto-sabotaggio.
Oggi vivo con la consapevolezza che la depressione può tornare a sussurrare, ma non avrà più il controllo.
So riconoscerla, so smascherarla, so che non è la mia voce. Non la confondo più con me stessa. Ora so che esistono strumenti, persone e cure che funzionano. Non parlo di bacchette magiche o scorciatoie, ma di percorsi reali, faticosi e concreti che riportano alla vita.
Quando vivo periodi di stanchezza o di delusione, la voce bugiarda della depressione cerca ancora di convincermi che sono un fallimento. Ma ho imparato a metterle il bavaglio.
Oggi, quando sento arrivare un crepuscolo, non lo temo più: lo accolgo, lo osservo, lo vivo. Poi lo lascio andare.
Articolo di Samantha Bovo e illustrazione di Noemi Monti,
dal progetto di Attivismo Digitale.