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Itaca blog
20 Settembre 2024

Cosa mi hanno regalato i farmaci

Vorrei fare un elenco personale ed esaustivo:

Tanta tanta paura, ma anche il coraggio di sentirla tutta, inaspettatamente non mi uccide.

Il coraggio di affrontarla di petto e di ribellarmi a un destino apparentemente già scritto, ma niente è così immutabile da arrendersi in partenza.

I luoghi comuni, le incomprensioni, le frasi dettate dall’ignoranza, banali, a tratti banalissime; riconoscerle per quel che sono, parole vuote, è un privilegio.

Lo stigma imposto, ma anche autoimposto, perché ribellarsi a una cultura sbagliata non viene naturale.

Le credenze da rivalutare per assumere una prospettiva che sia mia, e mia soltanto. Nessuno può mettersi nei miei panni senza prima bussare e promettere di non giudicare.

La concessione a qualcuno di entrare nel piccolo mondo e nella bolla dove manca l’aria, per scoprire che è spaventoso sì, ma è piacevole non sentirsi “una su un milione” e nemmeno abbandonata in battaglia.

La guerra contro me stessa, o per dirla in un altro modo, la scoperta della necessità di non combatterla proprio la guerra, che poi è l’unico modo per vincerla.

Le reazioni aspettate, ma anche quelle inaspettate e piacevoli. L’indifferenza e la forza di accettarla per quel che è, non un’offesa personale, ma una decisione dettata dalla mancata volontà di ricezione.

Gli abbracci fisici, e quelli astratti di comprensione e vicinanza, i più preziosi.

La scoperta e riscoperta di quelle amicizie che mi sarei persa (poche ma buone, credo nei baby steps), concedendomi il diritto di farle avvicinare in punta dei piedi e farmi conoscere un po’ alla volta.

Le occasioni create, che prima faceva troppa paura anche solo intravederle, poi sono riuscita a scorgerle: ci si può stupire delle proprie capacità, da quanto sono potenti, più di qualsiasi pastiglia, o meglio, a volte bastano delle spinte lente ma costanti di qualche medicina per assumere sembianze nuove.

La bellissima prima volta di conoscermi per chi sono realmente e non per chi pensavo di essere, quando ero nascosta da strati e strati di isolamento e miseria. La scoperta di quanto il mio animo fosse inquinato proprio da me stessa, perché non avevo altro modo di stare al mondo.

La condivisione che aiuta a sentirsi meno soli, a realizzare che esiste la possibilità di comunicare con altre persone, fino a poco fa totalmente ignorata, nemmeno presa in considerazione.

Il sollievo che anche le cose che credevo immutabili in realtà si siano rivelate mutevoli, che sono molto (a)normale, ma lo siamo quasi tutti o perlomeno molti, quindi va anche bene così.

Le delusioni e i cuori frantumati, però è meglio stare tanto male dopo aver visto la luce che non vederla affatto.

Il sostegno per iniziare prima e continuare poi ad uscire dalla mia cameretta e cominciare ad esplorare, con una piccola lucina che si è accesa da chissà dove, rinchiudersi nel buio era estremamente facile e naturale, peccato che fosse insostenibile.

La forza che credevo di non poter trovare, invece da qualche parte era nascosta, di crederci anche quando i risultati sembrano non esserci, nonostante il martellamento standard: “e se la vocina nella mia testa che vuole farmi arrendere, tanto sto messa male, avesse ragione?”

La costanza, necessaria, di continuare a camminare, anche in assenza di motivazione, anche credendo di non essere pronti a stare al mondo in modo presentabile.

La consapevolezza che le stampelle servono, ma sono stata e sono sempre io a sostenermi con tanta insistenza, nessun supporto ha fatto il lavoro per me, quindi i meriti me li prendo tutti.

Una gamma di emozioni che ho scoperto esistere, oltre a tristezza, rassegnazione e monotonia; sporgersi fuori dal museo di arte antica per vedere il paesaggio pieno di montagne russe acceca, tuttavia è meglio provarli a volte i brividi, ma sapere di essere salita in alto.

Queste cose vorrei dire alla me piccola, anche in età anagrafica, ma soprattutto per scoperte.
Dopo tanto catalogare e organizzare, l’azione “scellerata” di muoversi incurante di tutta la paura è stato un bene, perché quella che credevo incoscienza in realtà si è rivelata salvezza. Forse non ce l’avrei fatta da sola a comprenderlo, che i sentimenti di disperazione, inaiutabilità e impotenza, di una visione torbida e piatta della vita, erano tanto possenti perché facevano da cornice alla sofferenza e bisognava scalfirli per armarsi di una nuova prospettiva, più limpida.

Quante cose mi sarei persa se non avessi avuto il coraggio di buttarmi nel vuoto, ma non è mai stata una caduta libera, avevo un paracadute, solo che non riuscivo ancora a realizzarlo. Concedersi di vivere la propria umanità di esseri complessi è un grande dono, sono lieta di essermelo fatto.

Articolo realizzato da Sara,
per il progetto “Attivismo Digitale“

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