Ci sono grida urlate con rabbia.
Ci sono grida delicate di chi ha urlato per una vita, ma non è stato ascoltato.
C’è chi invece non ha gridato ed è rimasto in silenzio aspettando che passasse la tempesta.
Ci sono le grida dei malati psichiatrici con il corteo delle loro follie, complotti e persecuzioni.
Ci sono le grida dei figli di genitori con una malattia psichiatrica, definiti goffi, problematici, strani dalla società.
Ci sono le grida di mogli o mariti che hanno dovuto farsi carico della malattia, lottando con energia o rassegnazione a un matrimonio che poteva essere diverso, se non ci fosse stata la malattia.
Ci sono le grida dei familiari che hanno sentito il peso di una situazione facendosi carico della sofferenza o generando ulteriori fratture o divisioni.
C’è mio padre con un disturbo psichiatrico che da poco meno di un anno ha eseguito un TSO forzato, con una diagnosi di “psicosi paranoidea”.
C’è il mio grido e quello di mia sorella per l’assenza emotiva di un padre.
C’è mia madre che ha deciso di prendersi cura di mio padre anche nella malattia.
C’è la mia famiglia che ha dovuto interrogarsi, capire e/o comprendere. Non sempre è stato facile.
Questa è la mia storia, ma non solo… È la storia anche di tantissimi altri figli con genitori con un disturbo
mentale. Ho scritto questo articolo pensando principalmente al gruppo di cui faccio parte, il COMIP “Children of mentally ill parents”, prima associazione italiana creata da e per i figli di genitori con un disturbo psichico. Oltre a questo motivo, c’è una questione più personale legata al sostegno emotivo durante la fase acuta della malattia di mio padre, terminata con un TSO forzato.
Ci sono così pochi spazi dedicati a noi figli, difatti oltre alla solitudine sperimentata dal convivere con la malattia del proprio genitore, nella quale spesso non si è compresi, si può essere sottovalutati, o ci si vergogna, si aggiunge un ulteriore solitudine, quella di una rete istituzionale non idonea a farsi carico della sofferenza emotiva e psicologica dei familiari. Il CSM non offre spazi dedicati per avviare strategie di intervento, capaci di supportare il contesto familiare in un particolare momento della vita, come può essere la fase acuta della malattia psichica.
Secondo la mia esperienza personale, ho vissuto un doppio abbandono dovuto alla mancata presa di posizione, e quindi di responsabilità dello psichiatra di riferimento dell’ASL durante una fase psicotica nel quale mio padre rifiutava le cure. Un ulteriore fardello a carico dei familiari che sono costretti a prendersi responsabilità oltre misura. Un lavarsi le mani che genera rabbia e angoscia.
Nonostante questa esperienza, abbiamo trovato sul luogo lavorativo di mio papà persone capaci di comprendere e accogliere il momento di fragilità che stava vivendo. Non sono stati presi provvedimenti riguardo le assenze ingiustificate, anche quando mio padre non si presentava sul posto di lavoro perché pensava di essere stato licenziato dall’attuale impiego ed essere stato assunto per i servizi segreti.
Mi sono confrontata con diverse personalità, tra cui medici che hanno dato giudizi superficiali e poco professionali riguardo lo stato di mio papà, dichiarando che i malati veri sono ricoverati nelle cliniche. Mi sono chiesta spesso se bisognasse arrivare al limite di una possibile aggressione, suicidio per essere presi sul serio.
La mia risposta è NO!
Bisognerebbe prevenire ed ascoltare i segnali di una possibile ricaduta. Per questo motivo, ho pensato di condividere con voi, una delle frasi che mio papà ha urlato in un momento di profonda angoscia.
«Io sono il discendente di Cristo, il Re d’Italia.»
Credo volesse essere importante per qualcuno. Non so perché con noi nonostante tutto non si sentisse bene e accolto. Ho capito quanto è importante condividere il dolore per non implodere. Ho capito quanto è importante la cura della nostra psiche e quanto questa può influenzare la qualità della nostra vita. Ho capito l’importanza di un percorso psicoterapeutico per far fronte ai traumi e alle ferite emotive. Ho capito l’importanza della fede.
Molte famiglie hanno avuto conseguenze peggiori della mia, con mamme o papà allo sbando, violenti o addirittura suicidi. Figli che si sono annientati o che hanno sviluppato depressioni di rimando o si sono suicidati.
Vorrei solo ricordare che non possiamo permetterci di pensare che la malattia psichica sia una responsabilità personale e quindi individuale, slegata da una collettività che è sinonimo di supporto e vicinanza. Ci sono ancora molti pregiudizi e paure legate alla salute mentale.
Ecco, io con la mia personale esperienza vorrei abbattere questi pregiudizi e dare voce a chi non ha voce.
Articolo di Ilaria
per il progetto “Attivismo Digitale”