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Itaca blog
18 Settembre 2024

Il disagio giovanile

Il disagio giovanile è un problema in crescita, specie a seguito della pandemia da Covid-19 che ha causato un aumento esponenziale della curva dei disagi psicologici e psichiatrici delle persone di tutte le età. Il professor Villani, docente di Pediatria a Tor Vergata, riconosce quanto in realtà la pandemia abbia semplicemente acuito problematiche già esistenti, alle quali non si era mai dato ascolto prima.

L’isolamento, la quarantena, le misure restrittive che hanno caratterizzato la vita di tutti nei tre anni appena passati hanno causato l’insorgere di una serie di patologie, tipiche delle guerre e delle catastrofi: questo dimostra quanto tale situazione abbia avuto la stessa valenza di un trauma, dal quale ci si risolleva a stento e accompagnati da una vasta costellazione di sintomi, specie un amento dei tentati suicidi, crisi di agitazione psicomotoria e disturbi ansiosi e depressivi. Tutto questo si è sommato alla preesistente situazione tipica della fascia adolescenziale, dovuta alle fragilità di questa particolare età: ne sono la prova i molteplici effetti del bullismo e sempre più frequentemente del cyberbullismo, l’abuso di internet e i disturbi del comportamento alimentare.

Ad oggi la sfida che ci si pone riguarda l’accesso ai servizi pubblici di cura e tutela della salute mentale: famiglie e ragazzi hanno spesso difficoltà a inserirsi in un percorso di ascolto e assistenza nel Servizio sanitario pubblico. Le liste d’attesa sono molte lunghe e le chiamate per le prime visite arrivano con molto ritardo, con il rischio che le condizioni del ragazzo peggiorino.

 

In Italia viene data pochissima importanza, anche e soprattutto a livello politico, alla psicologia, la quale è l’unica a poter rispondere a tale grido d’aiuto giovanile. Potrebbe infatti rispondere con campagne di promozione, prevenzione, intervento e riabilitazione mettendo in campo le numerose figure specializzate, che escono in gran numero dalle università italiane e che spesso non riescono a inserirsi a causa della scarsa disponibilità di posti lavorativi. Per questo motivo solo chi può permetterselo si cura, privatamente, pagando le sedute. Ma non tutti riescono a permetterselo e non curarsi implica sempre un evitabile peggioramento: tutti i disturbi psichici, al pari di quelli somatici, sono destinati ad aggravarsi.

Ma il problema, da cambiare sul nascere, è proprio l’incapacità di legittimare l’importanza dei disturbi mentali, che sono da sempre sottovalutati. Spesso si preferisce non vedere, non considerare la gravità della propria situazione, pur di non ammettere a se stessi che è arrivato il momento di tendere una mano per accogliere quella degli esperti. Si deve quindi intervenire perché quello psicologico è un bisogno primario delle persone. La scuola, per esempio, potrebbe essere uno dei luoghi in cui si può intercettare il disagio, sul quale poi scegliere il percorso più adatto per l’intervento. I presidi delle scuole infatti stanno chiedono di avere gli psicologi nell’istituto, ma nessuno risponde a questo appello.

Sembra quindi che non si voglia comprendere e questa mancanza porta a un’assenza di consapevolezza. Si dovrebbe intervenire in promozione, con campagne di sensibilizzazione. Solo così si potrebbe iniziare a capire che il disturbo mentale esiste al pari del disturbo “organico”. Si potrebbe partire proprio dall’eliminazione di questa differenza così totalizzante. Il cervello è un organo e come il cuore, lo stomaco, i reni, si ammala e a volte anche gravemente. Curarsi è un diritto, un dovere e una necessità e la tutela della cura dei giovani altrettanto.

Articolo di Arianna,
per il progetto “Attivismo Digitale“