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Itaca blog
24 Settembre 2025

La salute mentale è politica

C’è un bel libro uscito quest’anno per Fuori Scena, dal titolo La salute mentale è politica. A scriverlo Piero Cipriano, psichiatra riluttante, da anni fine pensatore della psichiatria. Il libro in parte ripercorre pensieri già esplorati dall’autore in altre opere, soprattutto in relazione a quello che lui chiama il “manicomio chimico”, ovvero la strada che la psichiatria ha percorso dopo la rivoluzione basagliana e la chiusura dei manicomi. Un manicomio ancora più pericoloso, perché invisibile e soprattutto unanimemente accettato, ha preso piede: quello della tirannia degli psicofarmaci che, a leggere Cipriano, hanno una ben poco dimostrata efficacia scientifica e spesso generano più sintomi di quelli che risolvono. Al di là delle opinioni personali su questo, è interessante l’analisi che Cipriano fa di questo approccio alla salute mentale, che si traduce in un fatto meramente biologico e risolvibile, appunto, chimicamente. Molto interessanti sono le prospettive che l’autore apre quando parla dei farmaci psichedelici, il cui uso è autorizzato in diversi stati, di cui anche in Italia di recente è partita una sperimentazione autorizzata dall’Aifa, e che compiono un percorso molto diverso sul disagio psichico, lasciandolo in qualche modo emergere, anziché sedarlo, in un contesto accompagnato da professionisti. Ma andando oltre anche questa seconda parte, che pure è interessantissima e apre prospettive inedite (lo psichedelico a
differenza dello psicofarmaco non richiede lunghe assunzioni quotidiane ma una sola o alcune più diluite, sempre sotto controllo medico), quello che si apprezza in Cipriano è il tentativo, rinnovato e approfondito in ognuna delle sue opere, di scompaginare le carte in un mondo, come quello della psichiatria, rimasto imbalsamato dopo la rivoluzione Basagliana. Non solo lo psichiatra romano ci invita a smettere di parlare di psichiatria e iniziare a parlare di salute mentale, in una prospettiva che abbraccia una dimensione più ampia dell’individuo, del contesto che vive e delle persone che lo curano, ma anche del luogo stesso in cui praticare la salute mentale, che andrebbe fatta “nei luoghi in cui si vive, negli ambienti con cui si ha confidenza: a casa, nelle scuole, nei posti di lavoro”. Lo stesso Cipriano racconta di aver sempre preferito andare a casa delle persone o incontrarle al bar, piuttosto che nell’ambulatorio del Csm. Un passo oltre la psichiatria territoriale basagliana, un andare a lavorare nei luoghi che le persone abitano, per poi fare comunità.
Certo, l’assenza di comunità, di agorà, è uno dei vuoti del nostro tempo, ma è proprio qui che si coglie quanto la salute mentale abbia bisogno di farsi politica. Politica ma non solo: Cipriano è perfettamente consapevole dell’importanza della cura individuale, ma sceglie appunto vie alternative, come quella della “rivoluzione psichedelica”. Perché la domanda cui si sfugge – apparentemente banale, ma necessaria- è: come si cura la salute mentale? Basaglia ci ha insegnato che non si cura nei manicomi, ma la storia recente ci insegna che nemmeno la farmacologizzazione cura. In questo senso, azzarda l’autore, la crisi dei servizi pubblici viene a giocare a favore: urge una rivoluzione, fatta di psichedelia, di operatori della salute mentale (ESP- esperti di supporto tra pari) portatori di esperienza, fatta di luoghi dove poter far stare le persone per sottrarle alla loro famiglia quando ce n’è bisogno, serve una salute mentale non solo biologica ma anche psicologica, sociale,
economica, politica antropologica e spirituale. Per quanto la proposta di Cipriano possa sembrare utopica, ha almeno due pregi: disegnare un futuro possibile per la salute mentale, cosa che ormai pochi pensatori sono disposti a fare, almeno in Italia. E, così facendo, permettere a ognuno di noi, paziente, parente o semplicemente lettore curioso, di aprire nuove interpretazioni su un tema così cruciale per la contemporaneità.

Articolo di Camilla Endrici,
dal progetto di Attivismo Digitale.

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