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Itaca blog
14 Marzo 2025

L’alleanza terapeutica si può costruire

Una forte alleanza terapeutica è fondamentale per il trattamento efficace dei disturbi psichici. Ma che cosa succede se il paziente ha difficoltà a fidarsi del terapeuta e in generale ad aderire alla cura? I motivi possono essere diversi: ridotta capacità di comprendere e percepire la propria patologia, incapacità di interpretare correttamente il tipo e la gravità dei propri sintomi (magari come meccanismo di autodifesa), o scarsa fiducia nei Servizi di Salute Mentale a causa di esperienze negative precedenti.

A volte, purtroppo, la predisposizione positiva del paziente verso la cura è considerata prerequisito per l’accesso al percorso terapeutico e la responsabilità della costruzione dell’alleanza terapeutica ricade principalmente sulle sue spalle, anche quando – in quella fase del suo percorso di recovery – non ne ha ancora gli strumenti.

Per questo ho trovato particolarmente interessante uno studio olandese sull’alleanza terapeutica1 per la categoria di pazienti che, più di tutti gli altri, ha difficoltà a costruire buone relazioni interpersonali: le persone affette da Disturbo Antisociale di Personalità. Molti terapeuti ritengono questi pazienti incurabili, proprio perché pensano impossibile stabilire l’alleanza terapeutica: questo studio non solo offre una speranza per chi soffre di Disturbo Antisociale e per le loro famiglie, ma suggerisce riflessioni utili anche per altri disturbi, ai professionisti disponibili ad impegnarsi anche con i loro pazienti più complessi, inclusi quelli a basso funzionamento e quelli che presentano comportamenti antisociali pur avendo una diagnosi diversa.

La ricerca, condotta attraverso interviste approfondite con terapeuti esperti, ha identificato sei temi chiave per l’alleanza terapeutica:

  1. Bisogni dei pazienti: i pazienti con Disturbo Antisociale apprezzano il rispetto e il riconoscimento delle loro qualità e talenti, l’autonomia e la fiducia. Hanno bisogno di un ambiente sicuro e non giudicante, in cui sentirsi “visti” e “creduti”, cosa che nella loro vita sperimentano raramente.
  2. Regolazione delle dinamiche interpersonali: è importante bilanciare la vicinanza personale e la distanza professionale, essere restrittivi verso i comportamenti potenzialmente manipolativi ma anche dare spazio, e gestire resistenza, comportamento ostile dei pazienti e tempi lunghi dei risultati. Questi pazienti sono sensibili al rifiuto e percepiscono facilmente una mancanza di coinvolgimento da parte dei terapisti. Spesso non hanno fiducia negli altri, e ottenerla è un processo lungo; se si sviluppa un po’ di fiducia, spesso è molto fragile: basta dire qualcosa di sbagliato, perché la fiducia faticosamente costruita venga nuovamente infranta.
  3. Atteggiamento connettivo: i terapeuti devono essere autentici e naturali, curiosi, aperti ai feedback, coinvolti genuinamente, e devono tarare il loro atteggiamento sul singolo paziente nel singolo momento. Un atteggiamento autoritario è difficilmente tollerato da questi pazienti. Per mantenere la relazione non giudicante, è importante distinguere sempre il paziente come persona dal suo comportamento.
  4. Abilità connettive: per riuscire a connettersi con i pazienti, pur con chiarezza e limiti, e rimanere percettivi e riflessivi, sono importanti alcune capacità specifiche del terapeuta: fermezza, pazienza, capacità di calibrare gli interventi sulla fase del percorso terapeutico, capacità di adattare l’atteggiamento a quanto accade in seduta, onestà riguardo la propria preparazione e le proprie difficoltà.
  5. Processo terapeutico: il percorso porta il paziente ad attraversare tre fasi: sviluppare la fiducia, riconoscere la propria responsabilità, esplorare i modelli di comportamento problematici per trovare soluzioni alternative.
  6. Obiettivi del trattamento: gli obiettivi devono essere concordati e calibrati sul singolo paziente e possono variare: ridurre il carico emotivo, migliorare le relazioni interpersonali, ridurre i rischi (soprattutto quello di commettere reati), fino a – in alcuni casi – trasformare la personalità del paziente.

In sintesi, per creare un clima che riduca la diffidenza e la resistenza del paziente, i terapeuti devono adattare il loro approccio ai bisogni specifici dei pazienti, mantenendo un equilibrio tra fermezza e compassione. L’autenticità e un atteggiamento aperto e non giudicante sono valori fondamentali. I terapeuti devono essere attenti, fornire una guida chiara e stabilire confini, in modo da mantenere la connessione con il paziente. L’alleanza terapeutica può essere anche rafforzata da competenze terapeutiche specifiche. 

Questo vale per qualsiasi paziente abbia difficoltà ad aderire all’alleanza terapeutica e a sostenerla nel tempo: per questo, i risultati di questo studio possono contribuire a migliorare le pratiche terapeutiche e la qualità del trattamento per tutti i pazienti, non solo quelli affetti da Disturbo Antisociale di Personalità.

Articolo di Maria Gorlani,
dal progetto di Attivismo Digitale.

1 J. E. M. Aerts, M. J. N. Rijckmans, S. Bogaerts, A. van Dam: “Establishing an optimal working relationship with patients with an antisocial personality disorder. Aspects and processes in the therapeutic alliance” 2023 DOI: 10.1111/papt.12492

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