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Itaca blog
19 Settembre 2024

My race, my pace

La vita di Magda è un po’ la stessa di molte altre. Corre come una matta dalla mattina alla sera per stare al passo con il tempo che non perdona: la laurea che doveva prendere anni fa e non è ancora riuscita a conseguire; i lavori che richiedono flessibilità oraria, esperienza decennale, 3 lauree e 5 master, bella presenza, una mente brillante, niente incentivo alla Salute Mentale, niente ambizioni al di fuori dal lavoro stesso, tante responsabilità e poche certezze. E poi una data di scadenza, incisa dolorosamente nelle ossa, per ricordarle che ancora non ha la sua indipendenza economica, una famiglia, un marito e un lavoro stabile e accettato dalla società e che è, ormai, maledettamente in ritardo su tutto. La gente intorno a lei va avanti mentre lei è zavorrata al suo passato… Eppure continua a correre, cercando di arrivare almeno a un obiettivo al quale aggrapparsi per non venire schiacciata definitivamente dalla vergogna di non sentirsi realizzata nel modo in cui gli altri vorrebbero.

La cosa ironica è che Magda corre per davvero, lo fa come sport e per passione; corre 5, 10, 21 km e arriva persino a correre maratone. Macina chilometri come se stesse scappando da qualcosa (o da qualcuno), o come se volesse arrivare in qualche strano posto a qualsiasi costo. E chissà qual è questo posto che, a quanto pare, non ha ancora trovato, perché non accenna a rallentare la sua corsa disperata.

Magda dice che correre la fa stare bene, la aiuta a non pensare, a liberarsi dal peso ingombrante delle scadenze non rispettate, e dei demoni che ha nella testa.

Eppure io non le credo, o meglio… Non le credo più. Quattro anni fa, quando ha iniziato ad appassionarsi alla corsa era diverso. Era passata dalla corsa come ossessione per dimagrire e bruciare quelle maledette calorie proibitive, a una corsa come cura per nutrire la sua mente. E stava meglio! Certo, non ha fatto i miracoli che sperava, chiaro, ma in un qualche modo le aveva permesso di trovare un suo precario equilibrio.

 

Si è poi spinta oltre, sfidando i suoi limiti e si è buttata a fare la sua prima gara, e poi la seconda, e la terza…e con loro arrivavano la soddisfazione e la voglia di continuare e migliorare, che poi si traduceva in voglia di riprendere in mano la sua vita in tutti gli aspetti.

La corsa era diventata una parte integrante della sua routine, diventando un porto felice anche quando le cose si facevano un po’ più difficili.

Quando correva si sentiva leggera, e in quei momenti il suo corpo tanto ingombrante non le sembrava più troppo d’impaccio e nella sua testa non balenavano più giudizi negativi e distruttivi, almeno per un po’. Senza parlare della botta di adrenalina che produceva il suo corpo dopo una bella corsetta!

Ma poi qualcosa deve essersi rotto perché Magda ha iniziato a riversare nella sua valvola di sfogo un’ossessione ancora più forte e mai vista prima. A un certo punto il suo corpo non andava più bene per correre, troppo grosso; il suo passo non era all’altezza, troppo lento, la sua cadenza, non ne parliamo, troppo bassa; l’appoggio del piede, peggio che peggio, troppo di tallone…

La corsa per Magda era diventata lo specchio riflesso della sua esistenza: sempre indietro, sempre fuori posto, niente miglioramenti, niente soddisfazioni, niente tranquillità e niente più voglia di fare per paura di sbagliare o di essere giudicata.

Ma a Magda correre piace e continua a farlo, purtroppo senza più quella luce e quella tranquillità di prima. Guarda il suo orologio comprato a fatica e vede solo numeri: quelli che prima vedeva sulla bilancia ed erano sempre troppi, ora sono sul suo quadrante e sono troppo pochi. Compra vestiti più grossi per coprire delle forme che non la fanno sembrare una “vera runner” ed evita le strade affollate per paura del confronto.

Povera Magda, non sa che lei in realtà è un portento, che nonostante tutto continua a correre, si alza presto la mattina e corre prima che sorga il sole, si mette tre paia di guanti e corre anche con -3°C, corre come un pulcino bagnato anche quando la pioggia è insistente e non lascia scampo e mette tutta questa tenacia anche nel tentare di rimettere insieme i pezzi della sua vita.

Curioso come corsa e vita si intreccino in maniera romanticamente metaforica l’una all’altra. La prima ti insegna la disciplina e la costanza, la seconda ti permette di crescere e di fare tesoro di tutte le esperienze. Se metti un po’ dell’una nell’altra e viceversa ottieni una formula vincente e Magda questo lo aveva provato anche sulla sua pelle.

Eppure, in entrambi i campi Magda è diventata un fallimento, o almeno così crede lei, o più precisamente così le fa credere la sua testa che si basa solo su parole di semisconosciuti i quali ritengono egoisticamente di avere la verità in tasca e si permettono di elargire giudizi non richiesti su tutto e su tutti.

Ma ieri in Magda è scattato qualcosa, mi ha detto che è stanca di tutti questi paletti e di tutti questi stereotipi malati che ci vogliono inculcare in testa. È esausta di sentirsi dire cosa dovrebbe fare per integrarsi nell’apatica società di oggi, o di come dovrebbe gestire se stessa e i suoi fallimenti e soprattutto è stufa marcia di sentirsi ripetere a quale ritmo la sua vita e la sua corsa dovrebbero andare, secondo pareri altrui ai quali non ha mai chiesto nessun tipo di commento.

E io la capisco, povera Magda, mi fissa con quello sguardo sconfitto come se cercasse di giustificarsi per tutto ciò che ha fatto e continua a fare di inadeguato e per quello che è, è stata e vorrebbe essere. Ma lei in fondo lo sa che non ha nulla di cui giustificarsi, nulla di cui vergognarsi e che è lei, e solo lei, a decidere a che passo andare con la sua vita. Così, dopo essersi asciugata goffamente le lacrime dal volto mi guarda e mi sorride, e io sorrido a lei dall’altra parte di questo specchio un po’ deforme. Ci leghiamo i capelli, infiliamo le nostre scarpe da corsa e usciamo di casa respirando l’aria pungente del primo mattino. “Oggi che ritmo teniamo?”, le chiedo provocatoria…. “Il ritmo giusto”, mi risponde facendo l’occhiolino: “il nostro”, e finalmente siamo pronte per tornare in pista ed affrontare nuove sfide.

Articolo di Martina
per il progetto “Attivismo Digitale“

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