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Itaca blog
23 Settembre 2024

Partorirai con (ancora più) dolore

Il fenomeno della violenza ostetrica è più diffuso di quanto si pensi. Da una ricerca dell’Osservatorio Italiano sulla violenza Ostetrica risulta che 2 donne su 10 l’abbiano sperimentata e io sono tra queste.

Sono passati 16 anni e ancora mi porto appresso gli strascichi psicologici di quell’esperienza, così ho pensato di metterla su carta per aiutare altre donne a non farsi prevaricare in un momento che già ci vede spaventate e fragili.

Quando sono arrivate le prime contrazioni stavo cenando.

Ecco qual è la sensazione: un momento prima pensi che morirai dal dolore, il momento dopo è tutto sparito, come non fosse mai successo. Ma sai che ricomincerà presto.

Tento di riposare ma, all’una di notte, insonne e sempre più impanicata, sveglio il marito.
Gli sibilo: “Voglio andare in Ospedale. Subito.”  “Adescio?” articola impastato ma sereno, come se si trattasse di una qualsiasi sveglia feriale.

Mio marito sbriga l’accettazione mentre un’infermiera mi accompagna in sala travaglio.

Mi accomodo in sala.
“Qualcuno me lo faccia uscire” supplico l’ostetrica. Lei è disgustata: “Quante storie, mia nonna ha partorito nei campi. Come facevano una volta senza il cesareo, eh?”  Si moriva nel campo, penso io, ma non lo dico.

Finalmente mi attacca al monitoraggio e mi visita. Mi dice che le mie sono “contrazioni da espulsione”, quelle finali, ecco perché sono così forti.

“Con la dilatazione ci siamo. Le altre a questo punto del travaglio avrebbero già partorito”.
Mi scusi tanto signora ostetrica dalla spiccata empatia e dalla evidente vocazione, così necessaria in questa sua specializzazione professionale tanto delicata, che sicuramente ha partorito sorridendo in silenzio, nel campo di sua nonna, spaccando il secondo, cronometro alla mano, se non ottempero alle sue previsioni.

“Però il ragazzino non si sta ancora incanalando e lei non ha ancora rotto le acque”.
Pure. Sono una delusione dopo l’altra per lei. Me lo dice come se fossimo una coppia di debosciati bizzosi e poco collaborativi.

Poi si materializza un dottore che mi fa sdraiare, brandisce quello che sembra lo stecco di legno del gelato e lo usa per rompermi le acque senza tanti complimenti. La leggerezza è quella di una testa d’ariete lanciata a tutta forza contro un portone di ferro.
Quando mi dice che da adesso dovrebbe partire il travaglio, inizio a vedere la stanza con occhi nuovi, rinati. Inspiro speranza. Espiro ottimismo.

Passano i minuti, le mezz’ore, ma non inizia alcun travaglio. Mi sento sformare dall’interno.
“Perché nessuno fa niente?”
“È lei che deve farlo, non noi.”

A un certo punto appare la splendida visione del dottore con una siringa tra pollice e indice: se c’è un ago c’è un’epidurale o un prelievo preanestesia, penso speranzosa.

“Allora mi fa il cesareo?” chiedo, anzi, supplico.
“Si ormai è troppo stanca per reggere altre ore così”, lo dice con un tono mesto, di delusa constatazione. Io sono così felice (felice per un cesareo!) che i commenti stizziti delle infermiere che mi stanno trasportando in sala operatoria mi sfiorano come carezze.

“È questa qui la lagna che non vuole partorire”.
“Già, fossero tutte come questa, le colleghe di ostetricia perderebbero tutte il lavoro”.
“Ti dico solo che mi hanno interrotto la spesa per tornare per questa qui”.

Una contrazione mi fa inarcare e l’anestesista mi sgrida: “Stia un po’ ferma che se sbaglio resta paralizzata. Ma lo sa che ha la scoliosi?”

Scivolo in una nube di beatitudine mentre la spinale entra in circolo. Non potevano farlo prima? Sarebbe stata un’attesa stupenda, mi sarei potuta cullare per ore immaginando la faccina di Gabriele appoggiata sul mio petto.

Il telo nasconde il lavoro dei chirurghi. È assurdo, non sento nessun male, solo un rimestarmi dentro come quando cerco le chiavi nella borsa. Poi, la sensazione di un peso, appoggiato lì chissà da quanto che viene tolto improvvisamente.

“Non piange”. Io smetto di respirare.
“Ueeeeeeee!”
“Ah, sì, piange”. Gabriele inspira, espira, fortissimo.
E anch’io.

 

Articolo realizzato da Chiara,
per il progetto “Attivismo Digitale“

 

Fonte:
https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=53906

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