Perché le persone con disturbi mentali fanno paura?
Articolo di Valentina per il progetto Attivismo Digitale
Articolo di Valentina per il progetto Attivismo Digitale
Quando si scopre che una persona – un collega, un conoscente o un familiare – soffre di un disturbo mentale, le reazioni più comuni tendono a seguire due filoni principali. Da un lato, c’è chi sminuisce la malattia con frasi come “Ma sì, abbiamo tutti i nostri alti e bassi” rivolte a chi è affetto da disturbo bipolare, o “Fatti una passeggiata all’aria aperta, vedrai che starai meglio” indirizzate a chi attraversa una depressione. Dall’altro, c’è chi reagisce con paura, vedendo in quella persona un potenziale pericolo o addirittura un individuo da evitare, perché ritenuto intrinsecamente cattivo.
La prima reazione spesso nasce da un’incompetenza nel comprendere i disturbi mentali, o talvolta dal rifiuto di accettare che un proprio caro possa esserne affetto. Tuttavia, la seconda reazione – quella basata sulla paura – è ancora più radicata e complessa. Qui entrano in gioco fattori culturali e storici, come il ruolo dei manicomi, che per secoli hanno alimentato l’idea che i cosiddetti “matti” fossero pericolosi e incontrollabili. Oggi, però, c’è un altro elemento che contribuisce a perpetuare questo stereotipo: i media, in particolare film e serie TV.
Quante volte, guardando un thriller, un film horror o una serie crime, il criminale viene descritto come uno psicopatico, un bipolare, uno schizofrenico o comunque affetto da un disturbo mentale? La risposta è: spesso, forse troppo spesso. Questo continuo accostamento tra malattia mentale e comportamenti criminali non è soltanto dannoso ma rinforza un’associazione sbagliata e profondamente ingiusta. Non si tiene conto del fatto che la maggior parte delle persone con disturbi mentali non sono violente né rappresentano un pericolo per gli altri.
Certo, è vero che alcune patologie possono, in rari casi, indurre comportamenti aggressivi, ma ridurre tutto a malato di mente = criminale è una semplificazione pericolosa. Dobbiamo ricordare che ci sono assassini e ladri tra le persone perfettamente sane, così come ci sono individui con disturbi mentali che conducono una vita pacifica e rispettosa degli altri.
Il problema si aggrava quando i media, che dovrebbero essere anche strumenti di educazione, contribuiscono a consolidare questi pregiudizi. Se continuiamo a raccontare, attraverso film e libri, che l’antagonista violento o l’assassino è quasi sempre un malato di mente, non faremo altro che alimentare lo stigma. E così, non riusciremo mai a normalizzare queste malattie, né a trattarle con la stessa dignità riservata a patologie fisiche come il diabete o l’asma.
Un ulteriore aspetto da considerare è la difficoltà, ancora oggi, di accettare e comprendere ciò che non è visibile o tangibile. Una ferita o una crisi respiratoria sono facilmente osservabili e suscitano immediata empatia; i disturbi mentali, invece, richiedono apertura mentale e la capacità di guardare oltre ciò che appare. Questa difficoltà spesso ci impedisce di accoglierli e trattarli per ciò che sono: malattie, non tratti caratteriali o condanne morali.
In conclusione, fino a quando continueremo ad associare i disturbi mentali al crimine, non solo ostacoleremo l’accettazione di chi ne soffre, ma renderemo impossibile un reale progresso nella lotta allo stigma. È necessario cambiare la narrazione, sia nella società che nei media, per costruire una cultura più empatica, consapevole e rispettosa.