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Itaca blog
17 Gennaio 2025

Problemi sul luogo di lavoro per una persona affetta da disturbo bipolare

Nei miei ormai venticinque anni di lavoro, mi è capitato spesso, per non dire sempre, di avere problemi sul lavoro. Il disturbo bipolare, del quale sono affetta, porta difficoltà continue e quotidiane.  Le relazioni, di qualunque tipo, di amicizia, d’amore, di colleganza e anche familiari, sono un percorso a ostacoli.

Ormai dopo tanti anni, posso riconoscere i momenti di crisi, a volte riesco a prevenirli, a domarli, limitare i danni e tante altre volte no. Quando sei in fase depressiva, è già ostico avere a che fare con stessi, nel mio caso, non mi lavo, non cucino, non sistemo casa, che vuol dire anche semplicemente togliere le tazze del latte dal tavolo, oppure svuotare o riempire la lavastoviglie ma senza spingerci troppo oltre, la prima difficoltà è alzarsi dal letto. Figuriamoci prepararsi, vestirsi, truccarsi e andare fuori. Andare in ufficio, salutare le persone, prendere un caffè, rispondere al telefono o avere la forza di sostenere una conversazione.

Quando poi sei in fase maniacale, si potrebbe dire che a livello fisico le cose migliorano, e anche troppo. Non dormi la notte ma non ti serve, ti senti energica, hai mille idee per la testa, ma davvero mille. Diventi spiritosa, divertente, ti vesti stravagante o in maniera indecente, ti trucchi, ti riempi di gioielli, saluti, sorridi, parli, parli, parli. E già questa è una trappola. Perché parli troppo, a vanvera, a sproposito. Discorsi sconclusionati, ti senti così elettrizzata, racconti un sacco di cose, dai consigli, ti inventi cose, credi di essere la migliore e che l’idea della giornata diventerà sicuramente la scoperta del secolo, ma certo con questa fantastica illuminazione che ho avuto cambierò sicuramente il mondo, diventerò ricca, sarò invitata a programmi televisivi e allora inizi anche a pensare a come ti vestirai, ti prepari per le interviste nelle quali racconterai come ti è venuta l’idea, tutte le fasi del processo, la fatica che hai fatto e la sorpresa nel renderti conto di quanto successo tu abbia avuto. 

C’è un altro aspetto però di questa fase, ed è quella nella quale, oltre a sentirti Dio sceso in terra, sei terribilmente nevrotica, aggressiva, violenta nelle esternazioni verbali. Nel mio caso, sebbene non si possa parlare di allucinazioni vere e proprie, c’è una distorsione nella percezione delle cose che vedi e senti. Può essere una collega che ti guarda in un modo strano, magari lei sta solo pensando che ha litigato con suo marito e quindi è accigliata… ma tu, in quello sguardo vedi una persona ostile, che ti sta guardando in quel modo perché ti sta sfidando, sì, ce l’ha con te. Poi improvvisamente sorride, magari perché ha ripensato a qualcosa o ha sentito la battuta divertente di un collega ma tu vedi solo il ghigno, e quindi sì, lei ora si sta prendendo gioco di te, ti sta schernendo, e allora monta la rabbia. Sì, mi ricordo, la settimana scorsa ha detto quella cosa sul mio taglio di capelli, e poi non mi ha chiesto di andare a prendere il caffè. Ed ecco che lei, quella persona ignara di tutto che sta facendo la sua vita e nemmeno ci sta pensando a te, diventa la nemica numero uno. La stuzzichi, vuoi litigare e ci riesci, così magari ti prendi una bella lettera di richiamo e no, questa è un’ingiustizia, tu sei una brava persona e lei ti sta remando contro, oppure cerchi di controllarlo ma la tua giornata ormai è rovinata. Non puoi più parlare con quella persona, è falsa, cattiva, vuole farti del male. Ma in ufficio i colleghi hanno solo visto che hai iniziato una guerra da sola. Questo ufficio non mi protegge, la difendono tutti, io sono sola, devo difendermi da queste persone. 

Questi sono due esempi di come la quotidianità è difficile, questo tipo di approccio vale in ufficio come in banca, dal veterinario o con tuo marito. Se sei in fase depressiva non puoi e non hai rapporti con nessuno, se sei in fase maniacale, direi anche.

E qui arriviamo al punto di questo articolo, come puoi fare? Quando ero più giovane, adolescente, nei periodi depressivi mi mettevo in malattia ma, in quelli maniacali, specialmente per il fatto che ancora non sapevo che tutto questo facesse parte di una patologia, svolgevo le mie attività normalmente, ma non senza problemi. Sono innumerevoli le volte che ho litigato per la strada, nei negozi, con i medici, con i passanti, con i cani e le farfalle, ovunque. E sono purtroppo anche tante le lettere di richiamo ricevute dalle aziende dove ho lavorato, in un caso un licenziamento o semplicemente svariati problemi di relazione sul lavoro.

Oggi, io voglio proteggere me stessa e gli altri da queste fasi, come? Rimanendo a casa anche nei momenti di mania, ma se scritto così, sembra risolutivo, nella pratica non lo è.

Le continue malattie sono un problema sul luogo di lavoro, a meno che tu abbia la sindrome di down, ti manchi un arto, o sia paraplegico. Perché se in quel caso è evidente che tu sia disabile, per chi soffre di salute mentale no. Io sono invalida, solo al 60%, e dico solo in modo ironico perché è quello che mi sono sentita dire dal medico competente dell’azienda per la quale lavoro. La mia azienda riconosce a tutti due giorni alla settimana di smart working, mentre per i soggetti ritenuti “fragili “puoi averne uno in più. I malati di mente, neanche a dirlo, non sono riconosciuti soggetti fragili. Dopo un anno di lotte, certificato di invalidità, relazioni di specialisti e continue malattie, le risorse umane, mi hanno “concesso” un anno nel quale poter fare un giorno di smart working in più, evidenziando che, cito formalmente: possiamo far rientrare la “limitazione” al fine di aggiungere il 3° giorno settimanale di SW. Naturalmente, questa deroga resterà valida sino al prossimo “giudizio di idoneità” e più precisamente entro luglio 2025. Come se io da luglio 2025 guarissi totalmente dal mio disturbo e non fossi più un’invalida. Notare come la mia malattia sia stata considerata una limitazione e tra virgolette.

Come fare quindi? Come poter far capire che la mia malattia è reale? Non tanto nei giorni di fase depressiva ma, nei giorni di mania, io sono perfettamente in grado di svolgere le mie mansioni, solo, è rischioso costringermi a essere presente in sede rischiando, in primis un mio stato di disagio, e in secondo luogo, il reale pericolo di “incidenti“, che possono essere verbali, di errori sull’attività lavorativa considerato lo stato di ansia presente in quei momenti. Potrei lavorare da casa, lo faccio già, potrei farlo un giorno in più a settimana ma sempre, riconoscendo la mia patologia come seria, reale… e invece no.

Finito questo anno, che potrà sicuramente essere prorogato, rischio di essere costretta a presenziare in alcuni momenti della mia vita in cui tutto per me è difficile, potrei rischiare altre lettere di richiamo o liti tra colleghe o peggio un licenziamento se la situazione dovesse degenerare e non riuscissi a controllare il momento di stress.

La mia azienda proclama l’inclusività sulla sua pagina LinkedIn, ma poi, nel concreto per le persone “diverse” non fa nulla.

Cosa possiamo fare dunque? ISTRUIRE, spiegare, raccontare alle aziende che le persone malate di mente, devono avere gli stessi diritti di quelle malate fisicamente. 

Siamo trattati come una minoranza ma allo stesso tempo come persone normali che fingono di stare male per avere delle agevolazioni. 

Parlatene, divulgate e mostratevi per quello che siete, solo così, forse vedranno che anche noi, seppur senza un turbante in testa, siamo malate e fragili.

 

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