Ci sono stati momenti in cui sono arrivata a pensare di essere qualcosa di sbagliato, una sorta di errore che sarebbe dovuto essere eliminato. Tutto ciò, com’è anche normale che sia, fa venire i brividi, è qualcosa di tremendamente pauroso anche solo da immaginare. Eppure, questo è proprio il volto che la Depressione ha assunto dentro di me.
Ci sono stati giorni in cui l’unico pensiero che sfiorava la mia mente era quello di “andare via”, di abbandonare non soltanto tutto quello che avevo intorno, ma anche quella parte di me che continuava a lottare e lottare, senza però mai arrivare alla pace che tanto anelava. Ricordo quanto fosse faticoso doversi alzare ogni mattina, affrontare anche i più piccoli compiti quotidiani e riuscire a portare a termine la giornata in un modo che fosse abbastanza soddisfacente (ma soddisfacente per chi? Per me stessa oppure per gli altri?).
Ci sono stati attimi in cui mi sono sentita letteralmente alienata, lontana dal mondo, imprigionata in una bolla in cui potevo percepire soltanto il mio dolore. Ciò che più mi ha ferito, da sempre, è stata la consapevolezza che, per molti, la mia era unicamente scarsa volontà, un difetto intrinseco che mi sarei portata dietro in eterno, una “follia”.Ricordo quanto questo sminuire la sofferenza che provavo fosse devastante e difficile da sopportare, ma allo stesso tempo, in quegli istanti, mi si poneva alla mente una domanda la cui risposta era di difficile intuizione, ma assai utile ad un cambiamento di prospettiva: chi ero io davvero? Non stupirà il fatto che ancora non abbia trovato una risposta completa a tale domanda (e chissà se mai riuscirò a trovarla), ma il punto credo sia un altro: mi ero talmente abituata a vedere unicamente la sofferenza tutto intorno che avevo perso di vista ciò che di profondo era accaduto dentro di me.
Queste mie nebbie interiori che tanto mi offuscavano la vista mi hanno da sempre focalizzato l’attenzione su un singolo aspetto della mia esistenza: il dolore. Era come se mi avessero fatto indossare degli occhiali con lenti nere, scurissime, così tanto da non consentirmi di vedere ciò che di luminoso avevo vicino a me, con il risultato che sono arrivata a credere fermamente che la luce non esistesse più, e mai sarebbe potuta esistere ancora. E, invece, in tutto il tempo trascorso in isolamento, a rimuginare e a chiedermi se davvero avessi uno scopo in questa vita, qualcosa di luminoso era accaduto davvero! Ho avuto un’opportunità unica, quella di entrare a contatto con la parte più profonda e sensibile di me, di conoscere la sofferenza, di viverla appieno, di lottarci contro e anche di stringerla forte a me. Forse, è questo ciò che sono davvero: un essere umano che sta semplicemente vivendo. Ho abbracciato e accolto il mio dolore, l’ho preso per mano e insieme abbiamo attraversato luoghi mai esplorati prima. Può non essere questo un dono immenso, pur nel dolore che popola le nostre vite?
La Depressione è riuscita a togliermi tanto, non lo posso negare, ma vorrei soffermarmi su un aspetto che mi è per tanto tempo sfuggito di mano. Se ho perso tanto, è anche vero che ho ricevuto altrettanto. Sembrerà una riflessione piuttosto banale e scontata, ma in fondo nasconde una verità sconcertante. Così come, per via di quelle lenti scure, sono stata portata a vedere sempre e solo il dolore attorno a me, così mi sono anche abituata a non considerare quanto in realtà la Depressione mi stesse aiutando a conoscermi e, forse paradossalmente, anche a guarire. Senza tutto quello che ho vissuto, infatti, non sarei mai potuta arrivare alla consapevolezza che ho adesso, quella consapevolezza che, in futuro, mi spingerà a far tesoro di tutto quanto, anche di quelle ombre che incontriamo dentro di noi.
Dunque, proprio come diceva Montale: “Eppure resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto”.
Articolo di Melissa
per il progetto “Attivismo Digitale“