Già nel 1996 l’Organizzazione Mondiale della Sanità collocava il DOC tra le dieci condizioni mediche maggiormente invalidanti per il suo forte impatto sulla qualità di vita. Può essere così invasivo nella vita di una persona da interrompere e danneggiare la quotidianità, quindi compromettere gravemente il funzionamento in tutti gli ambiti di vita e implicare una sofferenza intensa ed estenuante. Può comportare difficoltà nel completamento della carriera universitaria o compromettere le relazioni amicali, familiari e con il partner; il 50% dei pazienti ha difficoltà nel mantenere un rapporto di coppia.
Infatti, con gli anni io stessa mi sono allontanata da tutto e tutti, arrivando a una situazione di ritiro sociale quasi completo: non uscivo più di casa, dormivo quasi 24 ore su 24, mi alzavo solo per alimentare un corpo diventato un mero contenitore vuoto, limitavo la giornata a una lista di comportamenti compulsivi, evitavo tutto.
Il mondo fuori casa era off limits: un territorio in cui dover essere sempre ipervigilante per evitare oggetti e luoghi considerati contaminati. La mia mappa mentale che segnava dove potevo andare e cosa potevo fare si restringeva sempre più fino a rimanere un solo posto dove potevo essere tranquilla: casa mia che, ben presto, è diventata una trappola. Anche lì alcuni oggetti si sono trasformati in cose con cui non potevo entrare in contatto. Sono iniziate pesanti compulsioni di lavaggio tanto che, nei periodi più critici, le mie mani erano irriconoscibili e a volte non riuscivo nemmeno a piegare le dita.
Esistevo e vivevo solo nella mia testa, nell’illusione che un giorno non sarebbe più stato così difficile. Non esistevo più: bisogni e desideri personali erano stati soffocati, portavo dentro di me un vuoto che si traduceva in una profonda tristezza, a volte apatia, perdita di senso di ogni cosa, stanchezza cronica sia fisica che mentale. Non ce la facevo più, tutto era compromesso.
Quando la situazione diventa così invalidante è difficile buttare giù i mattoni di un muro alto e cementificato. Non è facile, ci sono molte resistenze e ostacoli da superare, mostri da conoscere e affrontare ma, seguendo in modo attivo una psicoterapia e farmacoterapia, gradualmente possiamo fare passi avanti e riappropriarci di alcune cose che il disturbo ci ha tolto negli anni, ricominciare a vivere e fare esperienze, divertirsi e gioire.
Articolo realizzato da Vanessa,
per il progetto “Attivismo Digitale“
Fonti
Bara 2005; Mancini 2016