Oltre l’apparenza: sfatiamo i miti sugli adolescenti
Articolo di Francesca
per il progetto Attivismo Digitale
Articolo di Francesca
per il progetto Attivismo Digitale
Nel libro Esperienza di un adolescente (1979) scritto da Giovanni Parisi, professore di lettere attento ai problemi scolastici e sociali dei più giovani, leggiamo: “– Eh, cara mia, – disse la zia, – i tempi sono cambiati. Non che voglia giustificare le bravate dei ragazzi, ma oggi corrono dietro al divertimento! E qualche volta si dimenticano i compiti per la scuola.” e ancora: “E questi ragazzi oggi non studiano; questa è la verità, non vogliono fare niente!”
Sono passati quasi cinquant’anni dall’uscita di questo romanzo, eppure, la convinzione che gli adolescenti siano pigri e inaffidabili è ancora ben radicata nel nostro immaginario collettivo. Spesso, infatti, ricorriamo a luoghi comuni per descrivere le nuove generazioni sottovalutando la complessità di una fase cruciale della vita in cui avvengono trasformazioni sostanziali nello sviluppo biologico e psicologico dell’individuo e nel sistema familiare e sociale in cui è immerso.
Il film di animazione Inside out 2 (sequel di Inside out, 2015), uscito nelle sale cinematografiche il 19 giugno scorso, descrive in modo finemente accurato questo delicato e turbolento processo evolutivo. La storia è ambientata nella mente di Riley – la protagonista tredicenne che sta affrontando il delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza – e segue il punto di vista delle emozioni personificate Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto, emerse già nella prima infanzia, che si scontrano con le nuove emozioni che compaiono durante la pubertà: Ansia, Invidia, Noia, Imbarazzo. Questo riflette, almeno in parte, un cambiamento radicale che avviene fisiologicamente proprio nel cervello.
Cosa cambia nel cervello degli adolescenti e cosa c’è dietro l’apparente pigrizia e svogliatezza che (da sempre) attribuiamo alle nuove generazioni?
Ne abbiamo parlato con Flavia Capoano, psicologa specializzata in neuroscienze e Analista del Comportamento (ADC), nonché cofondatrice di Psicoleggimi. Nel corso di questa chiacchierata approfondiremo le sfide e le difficoltà tipiche dell’adolescenza e smonteremo i principali luoghi comuni diffusi sugli adolescenti.
Partiamo dal principio: cos’è l’adolescenza?
L’adolescenza è, dal punto di vista scientifico, il periodo che va, tendenzialmente, dai 12 ai 18 anni.
È una fase di grandi cambiamenti che riguardano principalmente quattro sfere: corporea, cognitiva, emotiva e sociale.
L’adolescente inizia a prendere consapevolezza del proprio corpo che cambia e della propria sessualità; questi cambiamenti possono influire sulla percezione di sé, aumentando la consapevolezza del proprio corpo e talvolta provocando insicurezze o disagi. Dobbiamo anche considerare che, dal punto di vista cognitivo, si passa da uno schema di pensiero infantile a uno più complesso e questo può portare a disorientamento e confusione.
Assistiamo, poi, a una vera e propria “esplosione delle emozioni” che gioca un ruolo importante nella costruzione dell’identità. Per rendere l’idea, potremmo paragonare questa esplosione emotiva al momento in cui i bambini scoprono il linguaggio e il loro vocabolario si arricchisce di nuove parole.
L’adolescenza è anche il momento della “nascita sociale”: si stringono le prime amicizie e il senso di appartenenza a un gruppo e l’approvazione degli altri diventano molto importanti.
C’è la tendenza a ricorrere a luoghi comuni per descrivere gli adolescenti (svogliati, inaffidabili ecc..) con il rischio di semplificare e appiattire una realtà molto più complessa. Sappiamo che il loro cervello va incontro a cambiamenti sostanziali. Cosa accade?
Sì, durante l’adolescenza assistiamo a un profondo cambiamento a livello cerebrale.
Per spiegarlo in modo semplice, ci sono due regioni del cervello che giocano un ruolo importante in questa fase: la corteccia prefrontale e il sistema limbico. La prima è deputata alla pianificazione e al controllo razionale, la seconda governa le emozioni. Il sistema limbico è particolarmente attivo in adolescenza, al contrario, la corteccia prefrontale (che ci impedisce di agire di impulso) non è ancora completamente matura e continua a svilupparsi nel corso degli anni successivi. C’è quindi uno squilibrio tra le due parti e, per questo motivo, le emozioni prendono il sopravvento rispetto al controllo razionale. Questo sbilanciamento tra un sistema limbico molto attivo e una corteccia prefrontale ancora in via di sviluppo può spiegare la tendenza degli adolescenti a cercare esperienze nuove ed emozionanti, talvolta senza considerare pienamente i rischi.
Credo che ci sarebbe bisogno di fare un’educazione neuropsicologica – se così possiamo chiamarla – per superare i luoghi comuni ed essere più accoglienti e consapevoli nei confronti dei teenager.
A proposito di emozioni, nel film di animazione “Inside out 2” fanno la loro comparsa: Ansia, Noia, Imbarazzo e Invidia. Qual è il loro ruolo in adolescenza?
“Inside out” e “Inside out 2” sono la rappresentazione perfetta di cosa accade nel cervello dall’infanzia all’adolescenza. Nell’infanzia si sviluppano le emozioni di base (gioia, tristezza, paura, disgusto e rabbia) che consentono ai bambini di rispondere a ciò che accade intorno a loro. In adolescenza, come abbiamo visto prima, il cervello è in continua trasformazione e per far fronte a un nuovo livello di complessità c’è bisogno dell’ingresso di nuove emozioni.
La noia, ad esempio, dà la spinta necessaria per fare nuove esperienze. L’adolescente, infatti, non si accontenta più di stare fermo a giocare, ma ha bisogno di stimoli per sperimentare e conoscere nuove realtà. L’ansia è un campanello di allarme funzionale, ci indica che qualcosa non va. Perché è importante? Perché ci spinge a fermarci e a decidere come agire davanti ai problemi. Siamo abituati a immaginare l’ansia come un’emozione “negativa”; invece, è proprio grazie a lei che l’adolescente può misurarsi con nuove esperienze e sviluppare la propria identità. Essa ha, quindi, un ruolo adattivo, spingendo i giovani a prepararsi meglio e a riflettere sulle scelte importanti, ma può anche diventare un ostacolo se non viene gestita adeguatamente. Poi abbiamo imbarazzo che è legato alla consapevolezza di sé e al giudizio degli altri. L’adolescente inizia a dare grande peso a ciò che gli altri pensano della sua persona e teme il giudizio dei coetanei. Mi piace definire l’imbarazzo un’ “emozione sociale” perché aiuta a regolare il rapporto con il gruppo di pari (non è prettamente una definizione scientifica ma credo che renda l’idea). Infine abbiamo invidia; anche questa emozione è strettamente legata al confronto con i coetanei. Il suo ruolo è motivare l’adolescente a migliorarsi e a porsi domande: “ok, sono invidioso di quella persona, perché? Ho bisogno di raggiungere altri obiettivi e riflettere su ciò che ho fatto fino a oggi”.
Quando la gestione di queste emozioni diventa disfunzionale?
Quando i miei giovani pazienti mi chiedono: “come faccio a capire se un momento di difficoltà è indice di un problema più grande?” rispondo a mia volta con una domanda: “quanto impatta nella tua vita quotidiana questa cosa?”. Lo stesso principio vale per le emozioni. La gestione diventa disfunzionale nel momento in cui si mettono in atto comportamenti legati a: isolamento, evitamento dell’ambiente scolastico e delle relazioni sociali e, nei casi più drammatici, autolesionismo (che ha la funzione di spostare l’attenzione dal dolore mentale a quello fisico).
Un altro campanello di allarme è il rendimento scolastico. In Italia si sente ancora molto la pressione legata al voto. Quello che dico sempre ai ragazzi è che il voto non crea e non rende la persona. Ma quando l’adolescente legge un’insufficienza sul suo compito, può mettere in discussione ciò che pensa di sé stesso: può sentirsi inadatto, non accettato e credere che gli insegnanti pensino male di lui. I segnali di una gestione disfunzionale delle emozioni emergono proprio a scuola o negli ambienti sportivi poiché sono i luoghi dove i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo.
A proposito di voti, secondo te c’è un sistema alternativo di valutazione che potrebbe essere valido per ridurre la pressione sugli adolescenti?
L’uso delle parole. Ricordo che quando frequentavo la scuola elementare si usava: “discreto”, “buono”, “ottimo” per valutare il rendimento scolastico. La parola ha un valore diverso rispetto a un numero. Per esempio, se consideriamo il passaggio dall’8 al 10, ci sono i mezzi voti, i meno meno, i più, i più più. Il passaggio da “buono” a “ottimo” , invece, dal punto di vista visivo, è più diretto e per un bambino e un adolescente l’aspettativa di miglioramento è più semplice.
Torniamo a “Inside out 2”. Nel film di animazione si fa riferimento all’albero del senso di sé. Cos’è e come nasce?
L’albero del senso di sé è una rappresentazione visiva dell’identità di una persona che nasce nell’infanzia e si sviluppa nell’adolescenza. La sua evoluzione è influenzata sia da fattori interni (le riflessioni che nascono dentro di sé) che esterni (le relazioni sociali e gli ambienti che frequenta). Le radici sono le emozioni di base (gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto) che, come abbiamo visto prima, sono state incorporate nella prima infanzia. Inoltre, queste radici possono simboleggiare i valori fondamentali, le esperienze passate, e le influenze che hanno contribuito a plasmare la personalità. Il tronco rappresenta la coerenza e la stabilità dell’identità che si sta formando e i rami e le foglie sono le parti nuove che stanno emergendo con l’integrazione di nuove emozioni, ambizioni e i ruoli sociali e simboleggiano gli aspetti in continua evoluzione del sé. L’albero può quindi essere visto come un simbolo della resilienza e della capacità di crescita di Riley. Anche quando affronta difficoltà o sfide che potrebbero scuotere la sua identità, le radici profonde dell’albero (ovvero i valori fondamentali e le esperienze formative) mantengono saldo il suo senso di sé, permettendo a Riley di adattarsi e maturare.
Nella scena finale del film la protagonista ha un attacco di panico. In quel momento tutte le emozioni abbracciano insieme l’albero del senso di sé. Qual è il significato di questa scena?
Si tratta di una integrazione emotiva, un simbolo di accettazione di ogni parte di sé come un tutt’uno. Le emozioni non si suddividono in positive e negative: ogni emozione è interconnessa all’altra. Quando Gioia e Tristezza abbracciano l’albero del senso di sé, l’attacco di panico non si interrompe; c’è bisogno, infatti, dell’intervento di tutte le altre per creare un sostegno autentico. Quella scena ci mostra che una crisi non è soltanto qualcosa che distrugge l’animo umano, al contrario, può diventare una risorsa se si hanno gli strumenti per affrontarla e se ne comprendono le cause. L’abbraccio delle emozioni all’albero sottolinea che la crisi non distrugge l’identità, ma può contribuire alla sua evoluzione e rafforzamento. E questo vale per qualsiasi disagio mentale.
Cosa possiamo dire a chi in questo momento si sente in balia delle proprie emozioni e ha paura di chiedere aiuto e affidarsi alla psicoterapia?
Non abbiate paura di chiedere aiuto perché dall’altro lato non c’è qualcuno che vi giudica, ma vi apre totalmente le braccia.
È vero che le nuove generazioni stanno decostruendo la società della performance? Per citare un esempio, mi viene in mente la vicenda che ha coinvolto l’atleta Benedetta Pilato alle Olimpiadi del 2024.
È vero in modo molto apparente. La visione dicotomica del “vinci” o “perdi”, che appartiene alle generazioni precedenti, piano piano si sta superando. È anche vero che i giovani vivono una pressione sociale talmente forte che non riescono a starci dietro. Pur di non sentire addosso il peso del fallimento che impone la società della performance se non si raggiunge un certo risultato, ci si ribella (a livello inconscio) e ci si autoconvince che il risultato sia bellissimo a prescindere dall’obiettivo. Ma non so quanta consapevolezza ci sia in questa risposta comportamentale.
Un’ultima domanda: quali sono le difficoltà che devono affrontare le nuove generazioni (Z, Alpha) rispetto alle precedenti?
Sicuramente l’esposizione costante ai social media. Se penso alla mia generazione – i Millennials, la generazione che chattava su MSN Messenger, per capirci – ricordo che c’era un controllo maggiore da parte dei genitori. Ad esempio mia madre vedeva con chi chattavo. Gli adolescenti, oggi, hanno accesso a qualunque contenuto senza controllo e se un genitore impone dei limiti, sanno come aggirarli.
In seconda analisi direi che la nostra società sta vivendo un cambiamento a livello del sistema-famiglia (pensiamo alle famiglie allargate, a quelle omogenitoriali). In vista di questa apertura, possono esserci giovani che provengono da una famiglia diversa di quella degli altri compagni di classe. Purtroppo, oggi, alcuni argomenti non sono completamente sdoganati e mancano gli strumenti necessari per includere le diversità. Questo può portare a sentirsi diversi ed esclusi dal contesto sociale.
Un altro fattore da considerare è la pressione lavorativa e performativa che viene richiesta ai genitori. In virtù del fatto che entrambi i genitori trascorrono la maggior parte del giorno al lavoro, l’adolescente passa meno tempo con loro e i famosi segnali di cui parlavamo prima risultano difficili da riconoscere. Nei (pochi) momenti in cui i genitori e i figli si trovano a cena seduti intorno a un tavolo è importante cercare un dialogo e avere un ascolto attivo per riconoscere i segnali e, se necessario, valutare un supporto psicologico.