Se pensiamo a Gardaland possiamo dire che il disturbo ciclotimico non è un giro sul Blu Tornado, ma è un po’ come andare sul Mammut.
Sul Mammut. Sempre.
Si passa il tempo a costruire e disfare, costruire e disfare un castello il cui progetto è davvero grandioso. Realizzabile eh! Ma grandioso. Ci sono fasi, in cui un’energia indescrivibile pervade mente e corpo e permette di avere idee, forze e passione senza misura. I progetti spesso prendono vita e a quel punto arriva l’urgenza, la rabbia, perché i pensieri sono più del tempo e delle energie a disposizione, tempo e pensieri corrono e fuggono rubando il sonno e bruciando forte. E poi? Poi il castello, fatto di carta, cade giù. Energie finite. Solo buio. Dolore. Ennesimo fallimento. Solitudine. Rifiuto per la vita. E poi? Se va bene, questa fase dura poco. Capisci come risollevarti e con una fatica immensa apri la finestra e ti lasci guidare dal nuovo giorno. Una breve fase di recupero e senza rendertene conto, sei già pronto a rimettere assieme tutte quelle macerie. Pensi di aver capito, che ora sarà impossibile perderti nuovamente nei labirinti della mente e invece ti ritrovi a “fallire” ogni due per tre.
Mi torna in mente una sera di pioggia. Sono andata con le amiche sui colli con la mia Clio 1000 54 kw station wagon. Sul più bello, a una curva ripida, mentre quasi si vedeva la cima, la macchina mi si è spiaggiata proprio lì, in mezzo alla stradina montuosa. Non riusciva ad avere la forza di ripartire; dietro a me una fila interminabile di macchine strombazzanti. Gente che pensava a quanto fossi un’incapace e a come stavo impedendo loro di godersi il bel panorama. Il pensiero che si insinua è questo, ma perché gli altri ce la fanno? Perché io no? Provo di freno a mano? Gioco di freno e acceleratore? (Ancora ho questo terrore delle partenze in salita!). Allora disattivo l’ABS… ah no quello è automatico non lo posso togliere da me, eh già… Non lo posso togliere da me…
Dipendesse da me vorrei stare bene, e non è un concetto che a che fare con la felicità, ma con la salute. Dipendesse da me vivrei una vita normale, come quelle che vedo vivere dalla mia finestra affacciata sul mondo. Vorrei far parte di quella festa, far parte di quelle incombenze, far parte di quella comunità che in comune ha la condivisione degli stessi problemi. Invece sono quasi sempre dall’altra parte del vetro, con i miei turbamenti incomprensibili. Ci sono giorni, come questi, in cui mi sento provata. Percepisco che il vento del mio umore sta cambiando e ho paura faccia cadere ancora il mio castello che a malapena aveva le fondamenta. Quanta fatica averle costruite in un mese o poco più. Realizzo che la bandierina sopra alla mia costruzione non ce la metterò nemmeno questa volta. Deluderò ancora me stessa. So che devo smettere di confrontarmi con chi non si scontra con i miei sentieri, so che devo dormire, riposarmi, amarmi e perdonarmi.
C’è chi ha la Bibbia sul comodino, io invece ho il manuale di psico-educazione. Conoscere mi aiuta. Devo accettare che io, come la mia Clio, l’ABS non ce l’ho in dotazione, posso però imparare a trovare tragitti differenti e più adatti a me; posso imparare ad affrontare la mia salita anche se sono un mille a benzina. Alla fine quella sera io e le mie amiche ci siamo arrivate in cima a quella collina. Abbiamo chiesto aiuto. Ci hanno provato varie persone a far salire la mia auto, ma non era mica un’impresa facile. Un tipo testardo ha avuto la meglio e la nostra serata, come quella degli altri automobilisti in coda, è potuta proseguire. Oggi la mia Clio con i suoi tempi e le strade alternative mi porta ovunque. L’hanno giudicata molto, ma io l’apprezzo tanto. Come ho accettato lei, potrei provare ad accettare la mia malattia, farmela amica. Cambiare le lenti con cui vedo la mia esistenza, ammirare con orgoglio i piccoli castelli con le bandierine che ho saputo costruire in mezzo ai miei deserti. Sicuro, non saranno altissimi, ma sono comunque per me bellissimi. Ora li vedo dalla mia finestra, la foschia li mostra e a tratti li nasconde ma sono lì ad indicarmi la mia Itaca, a ricordarmi che io non sono solo la mia malattia. Io sono un caleidoscopio di tanti frammenti colorati in continua evoluzione. Lei fa parte di me e mi rende ciò che sono. Fuoco e cenere, luce e buio, impeto e saggezza. Accetterò di percorrere il mio viaggio assieme a questa pazza amica che si chiama ciclotimia, con una condizione: stavolta guido io.
Articolo di Samantha
per il progetto “Attivismo Digitale”