
“Vado in terapia, allora sono pazza?”
È una delle prime tante domande che mi feci prima di iniziare la terapia.
I ragazzi della mia età praticavano sport, andavo al cinema o a fare shopping con gli amici; io, invece, dedicavo un’ora alla settimana alla seduta psicologica.
Nella mia testa viveva l’idea che andare da uno psicologo mi rendesse diversa e sbagliata.
“Forse sono io quella strana? La pazza?”
“Forse non mi cercheranno più, o forse non mi rivolgeranno più la parola”, pensavo…
Facevo fatica a vedere quel posto come sicuro, lontano da pregiudizi e libero da vincoli.
Probabilmente non ero felice, o forse del tutto pronta, di fare i conti con le mie paure e le mie emozioni.
Ma è così gratificante sapere che, ora, la seduta settimanale è diventata il mio posto sicuro.
Un po’ uno spazio nel quale io posso sentirmi me stessa, parlare delle mie difficoltà, affrontare le questioni che mi turbano. E gli altri non hanno cambiato la propria idea su di me.
Sono sempre Elisa, una persona come le tante; sono, semplicemente, Elisa.
Insomma, non vado in terapia perché sono pazza, bensì perché so di avere una fragilità e, quindi, bisogno di una spalla su cui contare.
Ho bisogno di capire ciò che mi fa male, di risolvermi, di ricercarmi, di ritrovarmi.
E sapete che vi dico? È okay. Va bene così.
Articolo di Elisa Catanzaro,
dal progetto di Attivismo Digitale.