05 Ottobre 2022

A volte mi chiedo, guardandomi indietro, come mai il tempo sia trascorso comunque, anche quando non ne aveva il diritto, perché il tempo con la sofferenza è tempo buttato.

Dicono che giovinezza significhi spensieratezza, ma il mondo della malattia dà piccole certezze e sicurezze chiedendo in cambio tutto il resto, assorbe e porta via con sé le esperienze che potremmo vivere: l’amicizia, il divertimento e la condivisione, e trascorrono mesi, anni, rubati alla vita vera. Ho sempre notato una divisione netta con il mondo circostante che sembrava prendersi e assaporare la realtà, mentre io rimanevo nel mio angolino, assorta a deprimermi, angosciarmi in pensieri ingombranti, mentre cercavo di contenere l’emorragia paralizzandomi e nascondendomi da tutto e tutti.

Se volessi crogiolarmi un po’ in queste sensazioni direi che è tutto ingiusto, che non ci si può trovare a sopravvivere quando bisognerebbe essere al massimo dello splendore come i propri coetanei; solo che poi loro contano le feste a cui partecipano o le ultime cotte, mentre io conto i miei momenti in solitaria.

Se volessi vittimizzarmi, direi che nella prima parte della mia vita ho sbagliato tutto e mi sono lasciata morire in un angolo sperando che qualcuno si accorgesse che non avevo gli strumenti per occupare con dignità il tempo che passava. Proteggermi dall’esterno per non lasciare trapelare i segnali di quello che mi succedeva e che vedevo così inaffrontabile mi ha fatto sembrare ai miei stessi occhi inguaribile. Mi ha fatto privare di tutto quello che avrei potuto vivere, anche degli sbagli che si possono ingenuamente compiere e delle distrazioni, che non ho mai permesso perché mancava la forza di mettersi in gioco in qualcosa di diverso dal solito, vecchio, conosciuto, dolore.

Però il tempo in queste condizioni non si cancella, lo si prende tale e quale e lo si porta con sé.
Il dolore è sempre lui e alla lunga stufa, ma ci si affeziona anche, perché non ha solo fatto buttare anni nella mancanza di vita, è stato anche lui a dare la spinta per trovare la voglia di mettermi in gioco al di fuori del conosciuto, proprio a causa della sua onnipresenza. Magari avrei potuto assaporare la vita senza il suo aiuto, capire che è possibile vivere non solo come un atto di ribellione alla sua presenza asfissiante. Sarebbe stato molto diverso, perché non avrei avuto la possibilità di rinascere una seconda volta e ricominciare tutto da capo. Magari mi sarei persa la soddisfazione di quello che posso fare con le mie mani, perché nascere è facile e automatico, mentre ricostruire tutto necessita di molto più impegno.

Oggi non la voglio ascoltare la tristezza a cui fa impressione questo tempo che passa e lascia una piccola e ingenua me alle spalle, alla quale fa strano sapere di avere una vita divisa in due, quella senza ossigeno e quella in cui ho iniziato a respirare. Non posso recuperarlo né capire se sia giusto essere cosi imperfetti da ritrovarsi a rinascere più e più volte, ma posso fregarmene di questa imperfezione, perché corrisponde in ugual misura alla bravura di riuscire a ripararmi.

Credo che il tempo perso lasci la consapevolezza di aver davvero affrontato il proprio personalissimo peggio, che ha fatto il suo corso, e non si potrà mai tornare indietro a quei momenti lì, nemmeno quando sembra di retrocedere e nemmeno quando se ne ha tanta paura, perché quel tempo non è solo sprecato, ha anche dato un prezioso insegnamento: il precipizio esiste, ma una volta scoperto ed esplorato in lungo e in largo fa meno timore perché ormai lo conosco, e non potrà mai più farmi così tanto male.

Quando ho cominciato a vivere per la prima volta mi sono affacciata come un bambino alla realtà, senza aspettative ma con tanto entusiasmo, e come chi comincia le cose da zero e deve imparare come si sta al mondo, ho dovuto allontanarmi dall’immagine vecchia e dolorante che avevo di me, per lasciare spazio a qualcosa che non avevo mai preso nemmeno in considerazione ma che poteva esistere. Poteva esserci la gioia, i piani improvvisati, le novità e l’irrequietezza. Potevo esserci io diversa da come mi sarei mai aspettata, quindi anche irreale ai miei stessi occhi. Eppure non sono mai stata così reale come quando ho improvvisato a vivere e dunque non mi sono riconosciuta, perché mi sono voltata a osservare per un momento l’immagine che ho sempre avuto di me stessa per il futuro, scoprendo che altro non era che una riproduzione di quello che avevo vissuto fino a quel momento.

Ma si può sempre prendere esempio dalle aragoste, che si privano dei vecchi gusci per assumere un aspetto diverso, rinnovato, che rispecchia la loro vera essenza. Mi fa quasi impressione, in senso positivo, il cambio della membrana, eppure ho la certezza che se sono riuscita a sopravvivere al passato ed evolvere come mai avrei immaginato, posso anche resistere alle tristezze che la nuova vita trascina con sé, alcune di tempi lontani e altre portate dal nuovo involucro. Adesso lo so, sono molto brava a farmi male da sola, molto di più di quanto il mondo esterno possa mai riuscirci, così tanto che so anche ricostruirmi ogni volta.


Articolo realizzato da Sara,
per il progetto “Attivismo Digitale