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Itaca blog
19 Settembre 2024

Spezziamo la catena

Proprio ieri ero al parco a giocare con le mie figlie e sento una mamma alle mie spalle che mentre parlava con una sua amica dice: mio figlio gioca sempre con Giovanni, sono un po’ preoccupata perché sua mamma ha un disturbo bipolare e non vorrei avesse trasmesso la malattia anche al figlio.

Dal tono delle sue parole ho sentito un vero dilemma e un’autentica necessità di comprendere come preservare l’amicizia di suo figlio senza correre rischi, per cui mi sono detta quale migliore occasione per parlarle? La nostra conversazione ha ispirato questo articolo.

Secondo il modello bio-psico-sociale le persone sono influenzate nello sviluppo da queste 3 macro aree:
·     Biologica: ovvero i geni che ci trasmettono i genitori
·     Psicologica: il nostro stato di salute mentale e di benessere emotivo
·     Sociale: gli eventi che ci accadono intorno, le persone con cui ci interfacciamo e stringiamo relazioni, il contesto in cui cresciamo.

Per quanto riguarda i fattori biologici si parla di concordanza multigenerazionale (figlio con lo stesso disturbo mentale del genitore) e di multifinalità transgenerazionale (figlio con un disturbo mentale differente dal genitore). Questa trasmissione del disturbo ai figli avviene solo nel 7-13% dei bambini, perché in molti casi per fortuna il gene trasmesso resta latente tutta la vita, ovvero non si manifesta mai nella personalità dell’individuo.

Il mondo scientifico è però sempre più concorde sull’attribuire maggiore importanza ai fattori sociali, una componente che chiama tutti noi direttamente in causa. Insieme possiamo creare un ambiente che funga da fattore protettivo, invece che da ulteriore elemento di rischio, per questi bambini, ma anche per i loro genitori.

Troppo spesso ci accaniamo contro i più deboli per sfogare le nostre frustrazioni, perché hanno minore possibilità di reagire. Qui parliamo di disturbi mentali, ma ci sono altre forme di vulnerabilità come la disabilità fisica, le minoranze etniche, religiose ecc. Spesso questa dinamica avviene in maniera inconsapevole: per ciò è importante parlarne per capire i meccanismi automatici che ci sono dietro e rompere questa catena.

Torniamo all’episodio di inizio articolo. La mamma del bambino aveva il sincero interesse di preservare l’amicizia di suo figlio con l’altro bambino, ma semplicemente aveva paura delle conseguenze che avrebbe potuto avere su suo figlio. La signora non conosceva il disturbo bipolare e non aveva informazioni a riguardo, probabilmente perché nella sua vita non si era mai interfacciata con il malessere psichico prima di allora. Per fortuna però, al giorno d’oggi reperire informazioni da fonti certe è abbastanza agevole e, così, impegnarsi per cambiare questi atteggiamenti involontari.

È irrealistico pensare che il giovane con un genitore o un famigliare che convive con un disturbo mentale non ne risenta, vedendo la sofferenza di una persona che ama e avendo difficoltà a prendersi cura di lei e degli altri della famiglia senza il supporto di specialisti.
È proprio qui che dobbiamo entrare in gioco noi, società civile che, accogliendo e non isolando questo bambino/ragazzo, mitigheremo gli effetti che la patologia del genitore ha su di lui. Non solo: la nostra maggiore sensibilità darà conforto alla stessa persona con disagio, che oltre a convivere con il male che lo affligge, ha certamente la preoccupazione di pesare sulle vite dei suoi cari.

In questo modo inoltre aumenteremo anche il benessere psicologico della nostra società, che è poi la società in cui cresceranno i nostri figli, in quanto portatori di una consapevolezza che rompe i meccanismi inconsci che ci hanno portato a costruire e far perpetuare lo stigma e il tabù della salute mentale. Insieme possiamo quindi fornire un contesto non patologico a coloro che stanno affrontando un percorso di cura psicologica, riagganciandoci così al terzo aspetto del modello bio-psico-sociale.

Ma come è possibile fare tutto questo? Alla fine, ciascuno di noi è solo uno in mezzo a quasi 8 miliardi di persone.

Invece è proprio qui il punto di svolta. Parlarne permette di rompere il tabù e lo stigma nella popolazione, attivando una reazione a catena di passaparola che certo non curerà il paziente, ma gli renderà meno ostico il possibile reinserimento in società.

Ma anche noi ne beneficeremo perché chi è in grado di decodificare l’ambiente circostante riconoscendo e parlando delle proprie emozioni ha un maggiore benessere emotivo, e questo possiamo farlo tutti. Non esitate, abbiamo bisogno di voi per rompere la catena dei disturbi mentali e abbattere il tabù!

Fonti:
https://medicinaesocieta.it/i-disturbi-psichiatrici-dei-genitori-intervista-al-curatore-de-girolamo/
https://www.youtube.com/watch?v=81EF6jLy9IU

Articolo realizzato da Sara,
per il progetto “Attivismo Digitale“

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