23 Febbraio 2023

Questo Natale sono tornata a casa per le vacanze. Per prima cosa mi guardo allo specchio, e sorrido.
Sono felice perché sono nel luogo che ho odiato per momenti che sembravano non finire mai, ma per la prima volta sono soddisfatta di me stessa. È lo stesso specchio che ho odiato quando vivevo in una gabbia in famiglia, con la sensazione di soffocamento, quello che quattro anni prima mostrava i miei capelli cadere, e sempre lo stesso di fronte a cui volevo solo piangere credendo che non ne sarei mai uscita dalla mia mente malsana.

Mi specchio e credo che il tempo è proprio pazzesco, che poi non fa nulla se non fornire le basi di un futuro che si è sempre in tempo a costruire. Sono innumerevoli le volte in cui ho pensato “non riesco, questa situazione è troppo grande per me, non la supero”, ed è ripensando a quelle situazioni che mi rendo conto che vado molto meglio di quanto penso, perché ogni volta che si tocca il fondo ce la si sta già facendo a sopravvivere.

Adesso mi sento magica, ad essere cambiata tanto quando in fondo non è cambiato nulla. È magico perché quando osavo immaginare il futuro era molto estremo: o sarei stata per sempre uguale o sarei cambiata come per un incantesimo, e allora tutto sarebbe stato perfetto. Niente è perfetto ora, anche se i capelli sono lunghi e soffoco di meno, la mente è un po’ ballerina, eppure ho sorriso in modo spontaneo perché non lo avrei mai detto di potercela fare a essere fiera di me.

Mi guardo e sono la stessa persona di prima, eppure sono anche un’altra, perché per la prima volta mi sento un puzzle formato da momenti brutti, a tratti orribili, ma anche momenti belli, che non avrei mai vissuto così intensamente senza passare dal brutto. Ho letto da qualche parte che la guarigione è orribile prima di essere bella, e penso che sia proprio così. È stato tremendo prima, e finalmente è un tutt’uno, in cui i momenti meno belli hanno un altro sapore, quello di non essere predestinati a soffrire, ma a percorrere un sentiero altalenante, dove anche le ripidità hanno il retrogusto del successo e della sfida, perché gli schianti al suolo non saranno mai tanto dolorosi quanto il passato.

Mi capita di guardarmi allo specchio e di avere paura che i momenti belli passeranno e sprofonderò ancora e ancora, perché a stare troppo bene poi fa anche paura che non durerà e starò male il doppio quando passa. La cosa positiva è che riconosco gli inganni della mia mente e so che quando arriveranno le onde inevitabili le saprò gestire forse sempre meglio. Sarò capace di capire che il flusso di pensieri che afferma che il bene è solo una deviazione dal malessere, un inganno attraente, è solo il trucco che la malattia ha sempre adottato per sabotarmi per farmi cadere in un turbinio di confusione; allora le cose più semplici e banali diventano anche le più efficaci, ricordandoci che tollerare l’incertezza è una grande sfida per il proprio senso di controllo, e che vincere o perdere una battaglia contro i propri pensieri non è mai definitivo, è un processo di ribellione ai propri istinti che, come tutte le sfide, vale la pena intraprendere.

Le cose belle comportano fatica, e la guarigione è molto complessa se la vogliamo incasellare in criteri rigidi: sono tanti i pezzettini distorti prima, e lo sono così tanto da ovattare la realtà, e togliere la nebbia fitta significa anche guardarsi allo specchio e riconoscersi come in un vetro finalmente limpido.

Quindi per tornare alla domanda iniziale, forse poco importa se sono guarita oppure se non lo sono, poco importa se i sintomi a volte si affacciano a ricordarmi che proprio lì sono più debole, poco importa se spesso mi sporco con il fango e per pulirmi mi sporco ancora di più, perché poi per rendere tutto più complesso, che però alla fine significa semplificare perché ci liberiamo degli standard rigidi e irreali, possiamo scegliere di non ridurci a un elenco di sintomi; oggi per me essere guarita significa conoscermi, sapere le debolezze della mia mente e le forze. Oggi sono guarita quando posso uscire da un pensiero, o quando non riesco, ma non mi sgrido per ore per questo.

Sono guarita quando esco di casa, quando non lascio che una giornata storta butti tutto all’aria, quando la testa mi si affolla di pensieri e penso che non ce la farò mai a stare bene ma poi mi ricordo che tutto passa, come ha sempre fatto, quando credo che il bene sia una destinazione ma poi mi ricordo che è il percorso che conta. Un percorso così complesso e personale che forse non potrà mai essere ridotto a un esame semplice in grado di stabilire la guarigione o meno, e nemmeno ha senso preoccuparsi di questo, perché c’è molto di più intorno a noi. C’è un universo di possibilità, c’è la cura e ci sono cose belle, che solo il percorso permette di affrontare, con scoperte che non tutti sono destinati a fare. Ci siamo noi che siamo completi, non ci manca proprio nulla.


Articolo realizzato da Sara,
per il progetto “Attivismo Digitale