23 Marzo 2023

Me le ricordo ancora, tutte le volte che sono stata in vacanza e bastava un odore a riportarmi alla memoria la sensazione di pericolo. Di quando, guardando vecchie foto, torno con la mente e il corpo al malessere che provavo oppure ascoltando i suoni della natura nelle belle giornate, torno alla sensazione di allarme.

Non se ne parla abbastanza di quanto la mente dimentichi le cose spiacevoli per proteggerci, ma i segni restano nel corpo, perché il sistema nervoso registra tutto.

Basta vedere una foto al lago e ancora sento l’angoscia che provavo, quella di aver paura di impazzire da un momento all’altro. Ancora percepisco il peso che tenevo dentro, e la paura, il mal di stomaco che mi faceva cercare bagni ovunque andassi.

Assaporo nuovamente l’angoscia di quando vedevo i binari di un treno e la mia mente galoppava in tutti i ‘se’ e i ‘ma’. Percepisco il malessere dato dal balcone di casa, e quella di una giornata in compagnia di altre persone, perché loro non lo sanno, che cosa io nascondo. Ricordo come il rabbuiarsi in inverno scatenava ulteriore angoscia, ma anche il pomeriggio chiusa in camera era uguale. Ricordo quanto il riposo mi facesse paura perché tutto strabordava e nasconderlo a me stessa diventava complicato. Ma era tutto antico, proveniva da estati, primavere passate, e anche dimenticate, tranne per un retrogusto tormentoso il giusto.

Me lo sono chiesta per tanti anni, perché fossi così strana da farmi bastare un odore, un suono, un paesaggio, per stare tanto male. Anche quando tutto è passato, perché ancora è così? Probabilmente perché siamo troppo completi per dimenticarci tutto, e non basta che il cervello cancelli, la “frequenza” deve cambiare canale.

Lentamente sono arrivata a conoscermi come il risultato di un territorio inquinato. Dal letame nascono fiori, dicono, ma i cinque sensi non si lasciano sfuggire niente e tutto viene immagazzinato, cosicché basta una scintilla a fare scoppiare la bomba.

Anche se ho realizzato che che il mio corpo ricorda e la mia mente no, non significa che sono strana ma solo che i residui di un avvelenamento lento vanno curati con molta calma e tanta pazienza, perché basta poco per scatenare il panico. È cambiato tutto quando ho capito che siamo il frutto di esperienze, e che se quelle negative ci segnano così tanto, quelle positive dovranno fare anche qualcosa, no?

Il compromesso da accettare è che si toglie una gocciolina di veleno alla volta, e la pazienza che bisogna avere con sé stessi è immensa. Non serve a niente odiare il proprio circuito impazzito, né i suoni, gli odori e i paesaggi, che non hanno colpe.

Alla me di un anno fa direi con dolcezza che non c’è bisogno di andare così di corsa, di combattersi contro; il corpo è dalla mia parte, e pure la mente, anche se non sembra. Semplicemente la disintossicazione richiede nuove esperienze, nuove visioni, nuovi odori, nuove persone, nuovi paesaggi, nuovi pensieri, nuove gioie e nuovi dolori. Richiede di attraversare il dolore e non avere paura di reimmergersi se servirà, perché la verità è che anche quando il veleno se ne sarà andato del tutto le cicatrici a volte possono bruciare, ma anche in quel caso bisognerà tornare alle basi e avere pazienza, e ricordarsi che c’è molto di più di quel trauma indefinito, molto di più di quell’odore che mi riporta al passato, c’è la me stessa del presente che tutte queste cose le conosce e soprattutto si conosce abbastanza da vedere che l’angoscia non dura per sempre, che una cicatrice non può fare sempre male.
I mostri del passato non sono cosi spaventosi come danno parvenza, sono dei giganti buoni, ci mostrano dove siamo stati feriti, ma noi gentilmente dobbiamo ricordargli che ora non siamo nel pericolo, non siamo bambini indifesi, ora siamo al sicuro, basta una goccia di antidoto al veleno per volta.

Articolo di Sara
per il progetto “Attivismo Digitale