12 Luglio 2021

Ho letto di recente, uno in seguito all’altro, due libri che mi piace presentare insieme, in una sorta di dialogo immaginario tra i loro protagonisti. Da un lato c’è Andrea Soldi, ammalato di schizofrenia e morto nell’estate 2015 durante un TSO. Dall’altro c’è Franco Basaglia, che non necessita presentazioni, la cui rivoluzione in psichiatria è stata raccontata da Peppe dell’Acqua e Massimo Cirri nello spettacolo teatrale (tra parentesi) con la regia di Erika Rossi.

La storia di Andrea Soldi è raccontata con lucidità e delicatezza dal giornalista Matteo Spicuglia nel libro Noi due siamo uno (Add Editore, 2021), mentre il testo teatrale di (tra parentesi) è uscito nel 2019 per le Edizioni AlphaBeta Verlag. È stato un caso fortuito che mi ha fatto incontrare queste due opere nello stesso periodo, ma trovo interessante parlarne insieme perché mi sembra che in qualche modo possano rappresentare un continuum. Là dove il dialogo tra Peppe dell’Acqua (allievo ed “erede spirituale” di Basaglia) e Massimo Cirri (che oltre ad essere il bravissimo conduttore radiofonico di Caterpillar, su radio2, è anche psicologo) ci introduce al cambiamento epocale portato da Basaglia nel trattamento della malattia mentale, il libro di Spicuglia ci mostra come quella grande rivoluzione si sia in qualche modo incagliata in alcuni nodi importanti: la solitudine delle famiglie dei malati psichiatrici, per esempio, ma anche l’assenza, spesso, di una rete sociale che affianchi quella strettamente terapeutica. I CSM (centri di salute mentale) non sono riusciti a diventare totalmente quello che erano nel progetto “basagliano” (presidi territoriali per la salute mentale aperti sette giorni su sette, 24 ore al giorno, che offrissero oltre alla cura strettamente psichiatrica anche delle opportunità per il reinserimento sociale, lavorativo, abitativo dei malati).

Questi due aspetti emergono chiaramente nella biografia di Andrea Soldi, ricostruita con profondità e umanità da Spicuglia: c’è una famiglia lasciata sola nel fronteggiare l’aggravarsi della malattia di Andrea, senza strumenti per comprenderla e fronteggiarla, e c’è il progressivo ritrarsi di Andrea dai servizi di salute mentale. Emblematico il suo rifiuto di continuare a frequentare il Centro Diurno cui era stato assegnato, perché, come egli stesso disse, non voleva andare là per “giocare col pongo”. Ragazzo sensibile e intelligente, nei suoi momenti di lucidità Andrea Soldi aveva ben chiaro di non voler essere trattato alla stregua di un bambino, relegato a quaranta anni a giocare col pongo.

È solo un frammento, questo, della sua storia, ma credo che getti una luce importante sui passi che ancora devono essere compiuti a livello territoriale per fare in modo che chi soffre di una malattia mentale abbia delle opportunità degne del suo essere comunque persona adulta, seppur sofferente. In qualche modo quindi la vicenda di Soldi, la cui morte risale al 2015 e che è stata ricostruita con grande ricchezza di dettagli anche grazie al diario che lo stesso Andrea tenne dagli esordi della sua malattia fino quasi alla sua morte, ci mostra spietatamente i passi che sono ancora da compiere per realizzare a pieno il cambiamento pensato da Basaglia e tanto bene raccontato da Cirri e dell’Acqua. Lo stesso TSO durante il quale l’uomo perse la vita ebbe delle caratteristiche di violenza e coercizione, tanto da causarne la morte, che ben sono distanti dal pensiero basagliano.

Se quindi da un lato nel testo teatrale si ripercorre tutto l’entusiasmo di quella che fu una vera e propria rivoluzione (non senza commozione da parte del lettore), dall’altro il libro di Spicuglia gli fa quasi da contraltare, mostrando le falle di un sistema, quello della psichiatria, che deve ancora portare a compimento la rivoluzione nata ormai più di 50 anni fa. È vero però che se oggi possiamo leggere la storia dolorosissima e feroce di Andrea e se chi la racconta può farlo con tanta sensibilità è perché da allora si è finalmente iniziato a parlare di malattia mentale al di là degli stereotipi. E bisogna continuare a farlo, continuare a interrogarsi e riflettere, non abbassare la guardia, per continuare a portare in giro Marco Cavallo, il cavallo di cartapesta simbolo dell’apertura dei manicomi.

Articolo realizzato da Camilla
Grafica Martina
Progetto Attivismo Digitale per la Salute Mentale