25 Gennaio 2024

Intervista a Lucrezia Marino di lumore.psi

Se digitiamo la parola “narcisista” sulla tastiera del nostro smartphone e avviamo una ricerca nel web è possibile che tra i primi risultati ci compaiano titoli simili a questi: “come difenderti da un narcisista”; “smaschera un narcisista grazie a cinque segnali principali”; “attenzione ai narcisisti!”

La narrazione sul narcisismo adottata nei media, in tv e, in generale, nel linguaggio comune denota una tendenza a svalutare e stigmatizzare un disturbo di personalità molto complesso.

A livello colloquiale, è comune utilizzare la parola narcisista per descrivere – in modo semplicistico – una persona egoista, egocentrica e priva di empatia. Non di rado, questo termine si usa impropriamente come sinonimo di “malvagio”, rafforzando la falsa credenza che un individuo con un disturbo narcisistico di personalità sia una persona cattiva.

Ridurre un disturbo di personalità con criteri diagnostici ben definiti a un’etichetta dispregiativa da cucire sulle persone con leggerezza non fa altro che alimentare lo stigma e la confusione che ruotano intorno al tema della salute mentale a scapito di chi ha ricevuto una diagnosi e della sofferenza che si porta dentro.

Vogliamo provare a sfatare i principali miti sul narcisismo con Lucrezia Marino, psicologa clinica, psicoterapeuta e sessuologa, attiva su Instagram con la pagina lumore.psi.
Nel corso dell’intervista che segue indagheremo cos’è il narcisismo, scopriremo che abbiamo tutti dei tratti narcisistici e, soprattutto, capiremo perché la cattiveria non ha nulla a che vedere con il disturbo narcisistico di personalità.

Qual è il significato del termine narcisismo?
In ambito psicologico quando parliamo di narcisismo ci riferiamo a un costrutto teorico molto complesso e antico. Sigmund Freud è stato uno dei primi studiosi a occuparsi di questo tema. Per il padre della psicanalisi il narcisismo è una posizione in antitesi con un’evoluzione matura, una fase infantile che deve essere superata. In altre parole, è l’investimento libidico su di sé che opera un bambino all’inizio della sua vita: fa uso della madre e del padre per nutrirsi e sopravvivere.
Nel tempo, il concetto di narcisismo ha attirato l’attenzione di altri grandi studiosi. I più famosi sono Heinz Kohut e Otto Kenberg. Le loro teorie rispecchiano due posizioni che oggi chiamiamo “narcisismo covert” e “narcisismo overt”. Da una parte, cioè, un narcisismo più introspettivo e con aspetti depressivi (teorizzato da Kohut) e dall’altra un narcisismo grandioso (tesi di Kenberg) con modalità che risultano più evidenti a un occhio esterno.

È vero che abbiamo tutti dei tratti narcisistici?
Sì. Tutti abbiamo una personalità fatta da tratti e da uno stile prevalente. I tratti di personalità sono tantissimi, tra questi, ci sono anche quelli narcisistici: in alcune persone possono essere marcati, in altre regolati, in altre ancora sono deficitari. Esiste un corollario di tratti di personalità che insieme creano la nostra unicità. Ogni personalità è come un’impronta digitale.

Quando si parla di disturbo narcisistico di personalità?
Se c’è un irrigidimento dei tratti narcisistici che comporta una compromissione del benessere, delle relazioni e del proprio sviluppo allora si potrebbe parlare di disturbo narcisistico di personalità. Dobbiamo sottolineare, però, che è molto difficile che una persona con un disturbo narcisistico di personalità sia uguale a un’altra con la stessa diagnosi.

Approfondiamo questo ultimo punto.
Nessuno è soltanto i suoi tratti prevalenti. Due persone con lo stesso disturbo sono diversissime per via della presenza di tratti di personalità diversi (come abbiamo detto prima, ce ne sono tantissimi) o di altri disturbi clinici. Faccio un esempio: una persona con un disturbo narcisistico e tratti ossessivi è molto diversa da una persona con narcisismo e tratti borderline, diversa a sua volta da una persona con narcisismo e disturbo depressivo. I nodi nucleari sono gli stessi: autostima estremamente fragile, difficoltà a mostrarsi in modo autentico e una paura soverchiante dell’altro, ma nell’espressione tutte queste persone hanno poco in comune.

A proposito di nodi nucleari: quali sono i tratti principali della personalità narcisistica?
Una delle principali caratteristiche della personalità narcisistica riguarda un’autostima deficitaria e il modo in cui si tenta di regolarla: attraverso l’ammirazione esterna. Per una persona con questa diagnosi, però, è molto difficile accedere alla parte di sé considerata fragile; c’è la tendenza, quindi, a negare la propria carenza di autostima. Sulla base di questo, la persona vive stati d’animo dolorosi, può nutrire invidia per l’altro e sperimentare l’incapacità di provare gratitudine in maniera autentica.

C’è la tendenza a credere che una persona con diagnosi di narcisismo sia cattiva. Come possiamo sfatare questo mito?
Ricordandoci che nessuno sceglie di avere un disturbo di personalità. Una persona con disturbo narcisistico di personalità può negare di avere un problema non perché sia cattiva, poco intelligente o non disponibile ma perché la negazione è parte del disturbo. È un meccanismo di difesa che permette a un ego fragile (l’ego pompato e grandioso è solo una maschera) di non andare in frantumi.
Vorrei aggiungere che “cattivo” è un giudizio. Consideriamo una determinata cosa cattiva perché c’è una morale che lo stabilisce. Ma la morale cambia nel corso dei secoli: ciò che oggi pensiamo sia “buono” potrebbe essere considerato “cattivo” tra cento anni. Parlare di cattiveria in relazione a un disturbo di personalità è improprio perché le azioni non sono fatte apposta.

Nel linguaggio comune si parla spesso di “vittime” e “carnefici” in un contesto relazionale che coinvolge una persona con una (presunta) personalità narcisistica. È corretta questa distinzione?
Chi ha sofferto per via di una relazione difficile e dolorosa, per tutelarsi, può fare questa semplificazione: “tu sei il cattivo, io sono quella buona”. La persona narcisista ha delle caratteristiche che possono far pensare che sia cattiva, basti pensare alla difficoltà di entrare in empatia con gli altri. “Non è empatico, non sa provare amore sincero e autentico per gli altri, quindi è cattivo”: no, è impossibilitato dal suo disturbo. Detto questo, è possibile che uno dei partner additati tra i cattivi abbia un disturbo narcisistico? Certo che sì, è possibile, ma non è ovvio. Invece, spesso, viene dato per scontato.
In un contesto relazionale è, dunque, improprio parlare di vittime e di carnefici – a esclusione di situazioni in cui ci sono episodi di violenza ed è necessario indicare il responsabile e tutelare chi subisce abusi.  
Il lavoro di noi psicologi è capire qual è la dinamica in corso. Se una persona si pone in una posizione passiva e sopporta delle condizioni molto sofferenti, questo ci dice qualcosa del suo funzionamento. Forse è incapace di capire quali sono dei segnali di allarme? È impossibilitata a mettersi in protezione? Se sì, sarebbe opportuno fare un lavoro introspettivo sulla persona piuttosto che spostare l’attenzione sull’altro e additarlo come “carnefice” a scapito di persone che soffrono a causa di un disturbo.

C’è la tendenza a pensare che il narcisismo riguardi solo gli uomini, e le donne?
I disturbi di personalità si manifestano in maniera peculiare in base all’età, il genere e il luogo del mondo. Per quanto riguarda il disturbo narcisistico di personalità per il DSM-5 (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) è più prevalente nei maschi (50/75%) rispetto alle femmine (50/25%). Quindi non c’è tantissima differenza.

È comune associare la violenza ai disturbi mentali e, in particolare, al narcisismo: “è violento perché è un narcisista”. Perché questo tipo di narrazione è sbagliata?
La violenza è una reazione umana legata alla disregolazione emotiva. In altre parole, si utilizza la violenza come arma nel momento in cui non si sa cosa altro fare. Ma questa reazione riguarda le persone. Sai quando si dice che “la guerra è disumana”? Condivido la sensazione ma purtroppo non è così. Le guerre sono umane perché sono prodotto dell’umanità ed è talmente vero (e terrificante) che ce lo conferma la Storia: è sempre stato così e – purtroppo – sarà sempre così (anche se ci auguriamo di no). Alla luce di questo, attribuire la violenza al disturbo mentale è sbagliato. Si tratta di un modo per scacciare da sé una cosa che fa paura per metterci al sicuro: “io sono buono”, “il violento è lui”.
Ognuno dà per scontato di essere sano oppure se parla di sé come una persona problematica lo fa in maniera scherzosa: “I pazzi veri sono gli altri e, allora, sono anche i cattivi”.
Ti dirò che è anche vero il contrario: è molto più probabile che avendo un disturbo mentale si è più facilmente vittime di violenza.

Come possiamo relazionarci con una persona che ha ricevuto una diagnosi di disturbo narcisistico di personalità? Di quali consapevolezze abbiamo bisogno?
Intanto, non generalizziamo. Come abbiamo detto prima, le persone con diagnosi di disturbo di personalità narcisistica non sono tutti uguali. Voglio sottolineare che non ci sono dei manuali su come comportarsi. Le risposte preconfezionate: “quello è narcisista quindi devi comportarti così” sono sbagliate dal punto di vista procedurale. Ciò che possiamo fare è tenere in considerazione che abbiamo davanti una persona molto fragile che non lo ammetterà mai e, anzi, mostrerà l’esatto opposto. E se dovesse arrivare ad ammetterlo, in seguito a un percorso di consapevolezza, consiglierei di dare tantissimo valore a quel momento.
Dal punto di vista pratico mi sento di consigliare di muoversi in punta di piedi quando si parla di autostima, risultati, successi, paragoni o caratteristiche estetiche perché siamo in un campo minato e la persona potrebbe irrigidirsi se sentisse che la sua autostima e il suo valore potrebbero essere sotto minaccia.

Cosa dovrebbe cambiare nella narrazione del narcisismo per renderla più inclusiva nei confronti di chi ha questa diagnosi?
Attualmente io direi di smetterla di parlarne nelle sedi e nei contesti non appropriati. Soprattutto, dobbiamo smettere di usare la parola “narcisista” come offesa o come sinonimo di “stronzo”.
Non dobbiamo dimenticare che si tratta di questioni molto delicate perché riguardano il modo in cui sono fatte le persone che soffrono. Le parole vanno maneggiate con consapevolezza, cura e attenzione.

Articolo di Francesca
per il progetto “Attivismo Digitale