08 Settembre 2021

Non so se avete mai sentito parlare di Erich Fromm. Personalmente non lo conoscevo fino a un paio di anni fa, quando mi venne consigliato di leggere un suo libro, “Fuga dalla libertà”. È stata la prima volta che ho letto per intero un saggio di psicologia.

Sì, perché Fromm è uno psicanalista del secolo scorso e, in particolare, uno dei principali esponenti della psicanalisi umanistica. Questo approccio mette al centro la persona nella sua interezza, valorizzandone le scelte, la capacità di autodeterminarsi e il potenziale latente. Non c’è determinismo in questa visione: ogni essere umano ha il potere di trovare il proprio scopo nella vita.

Uno dei molti aspetti che ammiro del pensiero di Fromm è il suo non negare le asperità della vita, ma allo stesso tempo l’avere fiducia nella capacità umana di farsi strada attraverso di esse. Una delle sue opere fondamentali, forse la più nota, è “L’arte di amare”. Qui Fromm parla dell’amore in senso molto lato, non restringendolo soltanto all’accezione più comune di sentimento romantico, ma considerandolo come aspetto fondamentale di ogni esistenza, presente in molti ambiti diversi.

In particolare, egli afferma che l’amore per la vita è “la qualità più preziosa di cui un uomo è dotato”. Ma perché è così importante che l’uomo sviluppi questa capacità di amare?

Fromm ci spiega che la nostra principale fonte di ansia e preoccupazione consiste nell’apprendere lo stato di isolamento degli uomini, la distanza fra gli uni e gli altri. Ogni essere umano è un individuo a sé stante, dotato di una propria unicità e indipendenza, ma ha allo stesso tempo necessità di essere a contatto con i suoi simili. La nostra razionalità ci rende ben consapevoli della nostra finitezza e della nostra mortalità, così come di quella altrui.

L’uomo, infatti, come essere dotato di ragione, matura con lo sviluppo una piena coscienza di sé come individuo, che lo porta anche a prendere consapevolezza della realtà che lo circonda. È così che alcuni aspetti dell’esistenza gli appaiono insostenibili: la morte, la solitudine, il senso di impotenza.


Da qui deriva la sua assoluta necessità di entrare in contatto con altri esseri umani, per sottrarsi a un mondo che sfugge al suo controllo e che, conseguentemente, genera in lui uno stato d’ansia. Solo trovando il proprio posto nel mondo questo senso di separazione può essere colmato. Fromm non ci illude sulla realtà dei fatti, ci dice però che abbiamo il potere di cambiare le cose.

Egli sostiene anche che “Il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso”: dobbiamo partorirci, tirare fuori la nostra essenza più profonda, per riscoprirci interi e non frammentati. Annullando quel vuoto che ci separa dal mondo esterno possiamo evitare la pazzia di una mente che non ha altra compagnia oltre se stessa. E l’unica vera soluzione al problema dell’esistenza è per l’appunto l’amore. Amore che non va confuso, ci avverte Fromm, con quel tipo di relazione che possiamo definire unione simbiotica.

Si tratta invece di una capacità creativa che l’uomo può praticare verso se stesso e verso gli altri esseri umani, una caratteristica peculiare di ogni personalità e che, come ogni tipo d’arte, può essere esercitata. L’amore a cui si riferisce Fromm è un sentimento e un atto che permette di mantenere la propria integrità pur nell’unione con un altro individuo. Non si tratta di qualcosa da subire in modo passivo, quanto piuttosto di un’attività da esercitare in prima persona. Amare è, prima di tutto, “dare”. Qui Fromm ci intima di stare all’erta, onde evitare ogni fraintendimento. “Dare”, in questa circostanza, non significa cedere qualcosa e quindi privarsene. Non c’è sacrificio di se stessi nell’atto di amare, anzi, al contrario, si è portati a un arricchimento interiore. È sentire la vita alla massima potenza. Solo allora “ricevere” ne è una diretta conseguenza, perché l’amato è così messo nella condizione di amare a sua volta. Fromm ci parla dell’amore verso i genitori, la famiglia, gli amici, Dio. A lungo si sofferma sull’amore per se stessi.

Amare se stessi, ci dice Fromm, non è considerato particolarmente virtuoso ma piuttosto egoistico. Ma perché? Non siamo forse noi esseri umani al pari degli altri? L’umanità che amo nell’altro è la stessa che io stesso contengo. L’amore rivolto soltanto verso l’esterno non è un amore completo. È così che Fromm ribalta il punto di vista consueto: egoismo e amore per se stessi non sono la stessa cosa quanto piuttosto l’opposto l’uno dell’altro. L’egoista, infatti, non si ama a sufficienza: l’interesse che sembra rivolgere verso la sua persona è solo un modo per tentare di compensare le carenze di amore per se stesso.

Nell’imparare ad amare, fondamentale è la concentrazione. Concentrarsi significa prima di tutto imparare a stare soli con se stessi, in modo che il rapporto con l’altro possa essere un equilibrio di due individui che sanno stare in piedi anche da soli, e non il completo attaccamento dell’uno all’altro. Vuol dire inoltre essere capaci di ascoltare, saper stare nel presente senza attardarsi nel passato o rincorrere il domani. «Non si può imparare a concentrarsi senza diventare sensibili con se stessi», dice Fromm. È imparando a captare i nostri stessi segnali che potremo prenderci cura di ciò che li ha scatenati e riconoscerli poi in chi ci sta di fronte.

L’amore richiede un processo evolutivo che porti al superamento del narcisismo e allo sviluppo di obiettività, umiltà e ragione. E, per far questo, è necessaria la fede. Non fede in senso religioso, non solo, almeno, quanto piuttosto fiducia nell’altro e, ancora una volta, in noi stessi.  Questo esige una buona dose di coraggio, perché amare significa affidarsi completamente all’altro. Aver fede, per l’appunto.

L’amore, come unica vera necessità dell’essere umano, dovrebbe pertanto essere al centro di ogni società, perché quando si è capaci d’amare non ci può essere scissione tra l’amore per chi ci sta più vicino e l’umanità intera.

Articolo realizzato da Annalisa
per il progetto “Attivismo Digitale