05 Maggio 2022

Un libro di guarigione (HarperCollins, 2022), di Gaia Rayneri, è davvero un libro di guarigione: lo è nella misura in cui racconta un processo di guarigione ma soprattutto offre degli spunti di cura profonda per chi lo legge.

Mi crea sempre una certa difficoltà parlare di “guarigione” in rapporto a un disturbo di personalità, nello specifico borderline. Un po’ di conoscenze in merito mi fanno essere sospettosa nei confronti di questo termine, soprattutto associato a una struttura di personalità che come tale difficilmente è qualcosa da cui “guarire”, ma con cui semmai imparare a convivere in modo sempre più funzionale. Scetticismo sulla parola guarigione a parte, questo libro è e resta un libro di guarigione, se non altro dalla profonda sofferenza che questo disturbo provoca in chi ne fa esperienza. In questo senso sembra proprio che Gaia sia guarita, eccome se lo è: “soffro, ma in modo più felice“, scrive nelle prime pagine di questo straordinario viaggio autobiografico di cui ci rende partecipi.

Scrittrice con alle spalle diversi romanzi (Pulce non c’è, Einaudi 2009; Dipende cosa intendi per cattivo, Einaudi 2018, Ugone, Rizzoli 2011), Gaia Rayneri, che oggi ha 36 anni, si è vista diagnosticare un disturbo di personalità borderline quando ne aveva 24. Questo libro è il resoconto dettagliato di un cambiamento avvenuto innanzitutto grazie alla meditazione. Non sono mancati psichiatri e psicoterapeuti nella storia di Gaia, ma il vero cambiamento, ci dice lei, è avvenuto con la meditazione. Ormai è un dato assodato che le pratiche di meditazione e mindfulness siano uno strumento prezioso per la gestione dei sintomi del disturbo borderline; ce lo insegna bene Marsha Lineahan, che inserendo la mindfulness nel protocollo dbt specificamente ideato per persone con diagnosi di disturbo di personalità ha tracciato una strada seguita ormai da tanti approcci psicoterapici.

Ma l’incontro di Gaia con la meditazione è molto più che l’applicazione di un protocollo efficace: è un cambiamento di visione del mondo, una riscrittura, una “risignificazione” della diagnosi, come dice giustamente lei con precisione certosina nello scegliere le parole (è il suo mestiere del resto!).

Un processo di risignificazione che le permette un esperimento a tratti funambolico ma eccezionale: ripercorrere tutti i 9 criteri diagnostici che caratterizzano il disturbo per rileggerli come opportunità di valore. E così la confusione identitaria propria del disturbo diventa, per esempio, la porta di accesso per una delle grandi verità che la spiritualità orientale ci insegna sull’impermanenza e l’inconsistenza dell’io come struttura fissa e immutabile; allo stesso modo l’instabilità relazionale, caratterizzata dell’alternanza di idealizzazione e svalutazione si trasformano, si plasmano letteralmente, attraverso la lente del non giudizio. Ci sono una forza, una potenza e anche un’intelligenza profonde nel viaggio di Gaia per uscire dalla gabbia della diagnosi: pur riconoscendone l’utilità per comprendere l’origine del suo dolore, la diagnosi rischia di diventare una giustificazione implicita per non cambiare. Invece è attraverso una reale e coraggiosissima assunzione di responsabilità (termine che torna spesso nel libro e che più volte ho sottolineato) che l’autrice riesce a fare il salto, a smetter di vivere nel condizionamento di una storia di sé costruita sui traumi passati ma tornare a vivere nel presente. Questo libro è un faro per chi attraversa la notte lunga del disturbo di personalità ma credo sia anche un’occasione di profonda riflessione per i curanti: un’occasione di ripensare il proprio lavoro di cura nei confronti di questo complicato eppure affascinante disturbo. E se riesco a scrivere affascinante, a conclusione di questa breve recensione, è proprio grazie allo sguardo originale e autentico di Gaia, che, citando Rilke, ci mostra i tesori preziosi nascosti sotto i draghi delle nostre paure.

Articolo realizzato da Camilla
per il progetto “Attivismo Digitale