27 Dicembre 2021

Con questa frase, Silvia Bon apre la Premessa del libro “Guarire si può”, del quale io mi sono completamente innamorata.

Quando parliamo di “Recovery” in salute mentale, ci addentriamo in una strada tortuosa e quindi credo sia necessario precisare prima cosa significa il termine: usando le parole di Patricia Deegan, possiamo dire che il processo di recovery non ha a che vedere con “aggiustare” le persone, come si può fare con le macchine, ma bensì ristabilire attivamente un nuovo modo di ridefinirsi come persone.

Questo è ciò da cui dovremmo partire oggi, quando vogliamo parlare di salute mentale, facendo riferimento a un concetto realistico di cura. Un approccio che non vuole prendere in giro nessuno, che non vuole romanticizzare niente ma rappresentare ciò che davvero significa recuperare la propria vita, la propria identità, al di là del disturbo presente.

Sento la recovery, intimamente appartenente a quel mondo delicato della pedagogia, che tocca con rispetto tutti gli aspetti dell’esistenza umana, non concentrandosi più su ciò che “non va” ma facendo splendere al massimo del potenziale ciò che c’è di meraviglioso in noi e che quindi ci caratterizza e ci dà un posto nel mondo.

Ognuno di noi sta al mondo in una particolare modalità, e questo è ciò che succede anche quando si arriva al mondo con una malattia mentale o la si sviluppa in seguito. La vita si ridefinisce, si rivaluta ogni giorno ma non è un continuo ricordare quello che difetta, ma quello che siamo venuti a manifestare qui.

Ingrediente finale sono le relazioni: nell’altro ci incontriamo con noi stessi, con quelle parti dolenti che cercano calore, accoglienza, con ciò che di noi ci fa sentire tanto soli sino a che non lo riconosciamo in qualcun altro.

Lo sguardo di chi ci può sentire e capire è una cura ed io l’ho provato: questo è il più grande insegnamento di Fiore da parete. Le persone si mancano ancora prima di sapere che esistono: mi chiedo come facessi prima di tutto questo, prima di incontrare il prezioso sguardo delle mie amiche attiviste che ho conosciuto in questo anno di attività social.

“Le relazioni che contano sono le relazioni di vicinanza e reciprocità, quando aiutano le persone a non sentirsi cittadini di livello inferiore, quando servono a combattere la solitudine e la mancanza di rete sociale affettiva e di protezione.”

È necessario un cambio di prospettiva: è arrivato il momento di dare voce e spazio ai survivors, sostenendo e fornendo agli ex utenti tutto il supporto necessario per fare divulgazione e sensibilizzazione; permettendo alle persone di dar voce alla propria esperienza per creare vicinanza e guarigione.

Io penso che la guarigione può essere una realtà, e non qualcosa che capiti solo a poche persone.” R. Coleman, Guarire dal male mentale

Scritto da Fiore da parete
per il progetto Attivismo digitale