26 Maggio 2022

Il ruolo dell’analista o del terapeuta più generalmente è avvolto da un’aura di mistero ed attrazione da quando esiste: storicamente, infatti, la pratica meglio definita psicologica che psicoterapeutica veniva associata a figure vicine alla magia ed alle divinità quali stregoni, “medium” e/o rispettosi uomini di chiesa. Basti guardare la comune pratica religiosa concernente l’espiazione e la catarsi del proprio malessere e mal-sentire, nonché l’atto di confessione. Una persona equamente umana rispetto a quanto lo siamo noi si cala nel ruolo sopraelevato di ascoltatore, attribuendosi inoltre il potere, tramite la sua benedizione, di quasi cancellare tutte le sensazioni negative conseguenza dei propri atti e gli atti stessi.

Fortunatamente, nei secoli, la psicologia si è conquistata l’etichetta di scienza, e l’attività inesperta e non schematizzata di ascolto ed offerta di aiuto è stato gradualmente attribuito agli specialisti, tali psicoterapeuti, i quali hanno il compito di comprendere umanamente e profondamente i processi e le strutture cognitive di colui il quale ha sufficiente coraggio per proporsi a spogliarsi di tutte le sue barriere, pronto ad affrontare debolezze, paure e traumi. Proprio per questo, nonostante lo status del terapeuta non sia più neanche parzialmente assimilabile a quello di uno stregone, non deve però confondersi con quello di scienziato in senso dicotomico.

Il terapeuta deve, a prescindere dalla sua formazione scientifica e metodologica, proteggere il suo lato umano, rimanendo in ogni circostanza disposto alla comprensione più radicale della psiche dell’altro. Etichette, categorie e schematizzazioni teorici non potranno mai includere integralmente l’unicità del singolo uomo, e vanno pertanto utilizzati dallo specialista solamente per comprendere al meglio l’ambito o la tematica nella quale si trova, insieme con il suo paziente, procedendo poi con apertura mentale verso le rigide regole che la teoria ed i libri impartiscono durante la formazione.

Quello del terapeuta è un ruolo complesso: tralasciando lo studio sistematico e le scoperte quali transfert e controtransfert che riguardano la reciprocità tra egli ed il pagante, basti pensare all’esperienza personale e, se non l’abbiamo avuta, ad immaginarla. Esiste una persona che è per noi: è disponibile, dedica tempo, sforzi ed impegno nel cercare di risolvere i nostri nodi più stretti. Egli è anche con noi: tramite ed attraverso il processo di individuazione, di guarigione, di rassicurazione il terapeuta rimarrà fedele e costante nel suo accompagnamento e nella sua disponibilità al capire ed all’offrire un aiuto concreto. Infine egli è contro di noi: come ogni persona che realmente consideriamo vicina e stretta alla nostra intimità, è necessario che lo specialista sia in grado di posizionarsi contro o sopra di noi per istruire, mostrare una strada alternativa, insegnare uno schema contrastante quello comportamentale che attuiamo, se controproducente, ed anche di puntarci il dito sulle nostre colpe reali, che tendiamo ad omettere e negare.

Il percorso di psicoterapia è tutt’altro che facile. È altresì insidioso, complesso, spaventoso, contorto. Scoprirci, rivelarci e conoscerci sono grandi realtà che comprendono miliardi di mondi inquietanti e meravigliosi. Noi tutti siamo croci e delizie. Pertanto, si ricordi che il terapeuta non è un Virgilio che ci accompagna all’inferno, come fossimo noi Dante. Il terapeuta ci insegna a camminare e a vivere nel nostro inferno personale, senza dipendenza dagli altri, lui incluso; è per questa ragione che consigliamo sempre di valutare accuratamente la scelta di chi potrà mostrarci la dimensione che abbiamo tutti noi internamente.

Non per forza si individua il tipo di terapia ed il terapeuta corretti al primo colpo, anzi: tanto quanto noi, anche loro sono esseri umani e pertanto si possono presentare ostacoli nella relazione tra i due, anche banalmente di cattiva sensazione “a pelle” o di incompatibilità caratteriale.
Informarsi, incontrare più persone e meditare questa scelta sono i tre step fondamentali per identificare la persona più portata a porci il complemento di noi stessi, della metà che, qualche volta, fa un po’ più male.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.“

Articolo realizzato da Maria Vittoria
per il progetto “Attivismo Digitale

ITALO CALVINO, Le città invisibili (Torino, Einaudi 1972)