07 Luglio 2022

All’epoca, ancora acerba qual ero, non avrei mai potuto immaginare che l’incontro del 12 luglio 2018 avrebbe cambiato per sempre, indubbiamente in meglio, la mia vita.

Voglio fugare ogni vostro dubbio, onde evitare comici fraintendimenti: non mi riferisco a un appuntamento romantico, bensì al primo vero faccia a faccia con il mio psichiatra.

Ero una venticinquenne piena di sogni, voglia di vivere e, ahimè, devastanti pensieri intrusivi. Ero del tutto inconsapevole di ciò che da anni mi stava lentamente spegnendo. Ma finalmente ero decisa a chiedere aiuto, senza ripensamento alcuno.

Sebbene ancora non lo sapessi, non ero certamente esonerata, in quanto orgogliosamente umana, dal rimanere invischiata nelle tre più famose trappole che ingannano noi ossessivi: l’esposizione impeccabile, la prova scientifica e la diagnosi di pazzia.

Nei giorni che hanno preceduto il tanto desiderato incontro avevo preparato, con dovizia di particolari, e ripetuto infinite volte il discorso da fare dinanzi al medico.
Più che una visita, a me pareva l’interrogazione del professore maggiormente temuto dagli scolari: ambivo spasmodicamente a una spiegazione perfetta. Ad aizzarmi in tal senso contribuiva, senza volerlo e animata dalle migliori intenzioni, la più ansiosa della famiglia, mia madre:

“Mi raccomando, con lo psichiatra bisogna essere precisi. Devi – imperativo categorico – dirgli che non hai alcuna intenzione di buttarti giù dal nostro palazzo, piuttosto ne hai una paura angosciante e sconfinata. Altrimenti, potrebbe fraintendere”.

Nonostante lì per lì annuissi sicura e compiacente sapete bene, forse meglio di me, quanto il dubbio logori l’ossessivo: “E se, invece, lo volessi e non ne avessi timore?”.

Lascio a voi immaginare quanto in quei momenti aumentasse esponenzialmente il livello della mia già smodata ansia. Una volta trovatami di fronte al medico, l’unico mio obiettivo restava quello di esporre il racconto in maniera impeccabile al fine di scongiurare un possibile errore diagnostico da parte del professionista.

Ma si sa, le cose non vanno mai così come da noi programmate (e talvolta è un bene!). Quando aprii bocca il discorso risultò, fortunatamente, sincero e improvvisato, l’esatto opposto di come avrebbe dovuto essere secondo le mie originarie previsioni.

Superata con fatica la prima trappola, si palesò immediatamente la seconda. Ero conscia di quanto il medico fosse preparato sull’argomento oggetto dell’incontro a tal punto da temere che potesse, pur astenendosi da qualunque commento personale, provare scientificamente la veridicità dei miei pensieri raccapriccianti.

Pertanto, quando ero sul punto di confidargliene uno, tentennai a lungo. “Qualche giorno fa ho visto alla televisione la fotografia di un bambino gravemente malformato…”. Piombò un silenzio assordante. “Prosegui”, mi esortò il medico.

“Ho pensato che fosse brutto!”, dissi tutto d’un fiato, liberandomi la coscienza.
“Ora confermerà tecnicamente la mia malvagità, rivelando così la conseguente capacità di compiere qualsiasi gesto deprecabile”, ragionai tra me e me in preda al panico.

Tuttavia ancora una volta, nulla andò secondo i piani: lo psichiatra iniziò a ridere così fragorosamente da far muovere a ritmo la sua folta barba bianca.

Restava da schivare, con astuzia e destrezza, la terza e ultima trappola: “E se l’esito della diagnosi fosse quello di pazzia?”.

D’altronde, nei giorni precedenti all’incontro, mi ero convinta che il mio fosse un caso inguaribile. Talmente grave da prevedere un ricovero coatto istantaneo in qualche struttura specializzata.
Ad angustiarmi non era l’idea di essere matta, bensì quella di diventare un peso ingombrante per la mia famiglia, la loro vergogna e più grande disgrazia. Allo scenario catastrofico si aggiungeva, poi, l’immancabile e onnipresente senso di colpa.

Assodato che le mie assurde certezze furono prontamente smentite dallo psichiatra, oggi mi rivolgo a voi: non è forse questo che i terapeuti, con incommensurabile pazienza, cercano di farci comprendere, ossia che siamo le innocenti vittime e giammai i colpevoli del nostro disturbo mentale?

Articolo realizzato da Anna
per il progetto “Attivismo Digitale